8.5
- Band: ANATHEMA
- Durata: 00:55:20
- Disponibile dal: 03/11/2003
- Etichetta:
- Music For Nations
- Distributore: Audioglobe
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“A Natural Disaster” si presenta come successore di “A Fine Day To Exit” e dallo stesso riprende alcune caratteristche sonore esasperando ed ampliando anzi l’approccio disinibito e minimalista degli ultimi lavori della band inglese. L’excursus musicale della band di Liverpool non ha mai cessato di evolversi dal 1989 ad oggi e partendo dalle origini ghotic doom i fratelli Cavanagh hanno iniziato ad esplorare mondi diversi, sognanti, pregni di atmosfere dilatate e deformanti, di mondi fatti di luce e tenebre che con questo nuovo album sembrano capaci di raggiungere con disarmante semplicità l’animo di chi ascolta. Spesso i capolavori della musica si caratterizzano per una semplicità e linearità compositiva fortemente identificativa ed in questo caso le dieci tracce contenute in “A Natural Disaster”, che potrebbe candidarsi all’Oscar anche per la fotografia dell’artwork, rappresentano un pregiatissimo emblema di quanto detto sopra. Una line up rodata che registra il rientro nella band del terzo fratello, nonchè gemello, Jamie Cavanagh al basso, si dimostra capace di partorire un platter raffinatissimo e suggestivo nel quale ancora una volta la band si dimostra maestra nell’alternare passaggi di grande respiro, momenti di profonda inquietudine e una vena progressiva di sperimentazione che, invero, non risulta mai ostile al morbido incedere delle canzoni. “Harmonium” apre questo viaggio spaziale, senza coordinate sonore e senza luce se non la sola voce di Vince Cavanagh che vi condurrà lungo un sentiero che percorrerete fluttuando intorno a enigmatiche melodie, eterei tappeti di synth e tastiere e sporadici accompagnamenti strumentali. Il pezzo si apre con le parole “Feel free to comprehend what I see” e meglio questo pezzo non avrebbe potuto essere presentato. “Balance” ha un approccio se volgiamo più duro, paranoico e ossessivo; riff e giri di chitarra si allacciano gli uni agli altri e su questi motivi si inserisce un cantato più vitale e vivo; le ultime note del pezzo confluiscono direttamente in “Closer”, una delle tracce più particolari di “A Natural Disaster”. Assistiamo ad un ipnotico crescendo carico di groove lungo il quale vi colpirà l’uso della voce filtrata, quasi robotica, di Settantiana tradizione, nella migliore vena di quanto i vari Pink Floyd e Alan Parson sperimentavano quasi trent’anni fa. Questa è una traccia senza nè capo nè coda, che crea un nesso di continuità fino a quanto ascoltato fino ad ora, una digressione strumentale di grande spessore, oseri dire quasi incolore per la sua intrinseca capacità di non far trasparire la sua vera anima struttrurale. Una perla messa lì, non casualmente, e partorita con grande maestria. “Are You There”, più tangibile e materiale rispetto a “Closer”, si rifà a quel spatial-sound tipico degli ultimi lavori di Kevin Moore e dei suoi Chroma Key: dolcissime melodie su un cantato che trova negli strumenti i veicoli necessari per creare atmosfere limpide e delicate permeate qua e là da splendidi passaggi puliti di chitarra. “Childhood Dream” non è una canzone, no…è esattamente la trasposizione in musica delle sensazioni oniriche e paradisiache che un infante deve provare durante il proprio sonno. Sbiaditi rumori di fondo, voci lontane, partiture strumentali ridotte all’osso: la colonna sonora di quello che il mondo deve apparire agli occhi ancora socchiusi di un bimbo appena nato. Un risveglio violento, o forse il sogno di una profonda inquietudine, questo è ciò che provoca la successiva “Pulled Under At 2000 Metres A Second”, una track veloce, con distorsioni elettriche e diversi cambi di ritmo dove, con le dovute proporzioni e con un approccio adeguato al loro odierno sound, la band si confronta con alcuni tratti caratteristici del suo passato musicale. I vocals sono a tratti sussurrati, a tratti esplodono in urla squassanti che paiono violente in un contesto come quello di questo album. La title track di questo platter è affidata ad una splendida interpretazione femminile alla voce e tutto intorno la musica torna a tessere melodie fluttuanti e introspettive non prive di grande musicalità soprattutto sul bellissimo coro. Ancora una volta la leggerezza dell’apporto strumentale rende omaggio alla tradizione rock psichedelica degli anni Settanta. Discorso che vale per l’altrettanto delicata “Flying”, altro capolavoro fatto di lente e raggelanti melodie con un Vince Cavanagh ancora sugli scudi. Questo vostro viaggio delle meraviglie si conclude con altre due perle di bravura, “Eletricity” e “Violence”, due brani tanto delicati quasi da sembrare incompiuti. Proverete tristezza e tranquillità al tempo stesso, o un profondo senso di smarrimento. Ma credo proprio che non rimarrete indifferenti all’impulso di riascoltare tutto da capo. Se con gli ultimi lavori avete apprezzato la crescita artistica della band di Liverpool, questo album rappresenta la summa di quello che gli Anathema hanno cercato per anni in termini di sensazioni e linguaggio musicale, un excursus ricco di sentimenti contrastanti e difficilmente catalogabile. Al di là delle mode e dei gusti, un disco da avere e da conoscere. Totale!