9.0
- Band: ANATHEMA
- Durata: 00:57:54
- Disponibile dal: 11/11/1996
- Etichetta:
- Peaceville
- Distributore: Venus
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Passare da “Serenades” a “The Silent Enigma”, seppur con il fenomenale ed interlocutorio EP “Pentecost III” a fare da cuscinetto d’assorbimento, era stato già un enorme passo in avanti per gli Anathema. Ma, a soli quindici mesi di distanza, sul finire del 1996, i ragazzi di Liverpool si superano ulteriormente, rilasciando sempre per la fedele Peaceville Records il terzo full sulla lunga distanza, “Eternity”, lavoro che emana sentori pinkfloydiani e prog-rock Seventies da ogni solco, mischiandoli sapientemente con gli afrori depressi, ancestrali e mistici derivanti dai toni crepuscolari dell’inarrivabile disco precedente.
Sono sempre Danny Cavanagh e Duncan Patterson a tenere le redini della composizione, mentre Vinnie Cavanagh e John Douglas ristagnano nelle retrovie, lasciandosi guidare dai loro compagni attraverso un viaggio dai significati profondi, riflessivi e quasi purificatori, dai contorni già psichedelici e onirici ma ancora saldamente legato a sentimenti terreni, pregni di volatili memorie, sogni infranti e atmosfere intristenti. La produzione, affidata a Tony Platt, si rarefà ulteriormente rispetto a “The Silent Enigma” e la voce di Vinnie, sempre più espressiva e tormentata, viene posta in primo piano, mentre l’estro solistico e ritmico della chitarra di Danny si libera di ogni restrizione filando liscio verso fughe strumentali di chiara ispirazione. Da parte loro, l’abilità e la classe sopraffina di un compositore incredibile quale Patterson riescono ad ammantare il platter di cupe evocazioni e spettrali penombre, creando mood assolutamente personali. “Eternity” dà l’impressione di essere – e probabilmente lo è – un disco maggiormente introspettivo e psicologico dei suoi predecessori, contenente praticamente nulla del retaggio di “Serenades” e sviluppante gli afflati epici e le pulsioni notturne di “The Silent Enigma”. Da cui, in parte, si allontana per la minor dose di violenza; mentre d’altro canto si vanta di poter accelerare alcune partiture sì docili, ma dinamiche e anche potenti (“Eternity part 1” su tutte, e poi “Far Away”, la prima parte di “The Beloved”, la chiosa eccezionale di “Cries On The Wind”…). L’aumento dell’ingombranza delle tastiere, anche solo semplicemente in quantità – si senta l’opener semi-strumentale “Sentient” oppure la splendida cover di “Hope” di Roy Harper – è un altro punto di distacco piuttosto evidente con il passato appena prossimo della band.
La prima metà della tracklist è semplicemente incredibile, con brani-capolavoro quali “Angelica”, straziante, e “The Beloved”, che mostra, nella sua doppia natura, sia un temerario vigore che un antipasto di ciò che arriverà su “Alternative 4”, così come succederà poi in “Suicide Veil”, altro pezzo epocale degli Anathema, che in tale episodio ricordano vagamente anche le allora stelle nascenti Type O Negative. Siamo al cospetto di un gothic metal progressivo che però inizia a non essere più tale, bensì più un progressive metal dalle tinte gotiche e ben virante verso un sound rock a tutti gli effetti. A seguire la cover di “Hope”, la seconda parte è forse meno incisiva della prima, ma in realtà ogni traccia possiede due-tre momenti di grande pathos e rara intensità, che essi siano derivanti da un giro di tastiere, da una melodia struggente di chitarra, da quattro note di basso oppure da un vocalizzo quasi a cappella di Vincent Cavanagh.
Pare incredibile constatare, una volta giunti alla fine di ogni ascolto di “Eternity”, quanto esso sia sorprendente e tuttora attualissimo, ancora vivido di sensazioni lucide e divoranti, come una fresca ferita che fatica a rimarginarsi, ogni volta riaperta dallo spietato sale dei ricordi.