9.5
- Band: ANATHEMA
- Durata: 00:54:39
- Disponibile dal: //1995
- Etichetta:
- Peaceville
- Distributore: Audioglobe
Disperazione. Sogno. Dolore. Poesia. In queste quattro parole è racchiuso il contenuto di “The Silent Enigma”, l’album-capolavoro che chiude la parte più oscura della discografia dei britannici Anathema. Abbandonata dal cantante originario Darren J. White (che vedremo poi nei Blood Divine), la band di Liverpool non si scoraggia e i fratelli Cavanagh decidono di proseguire l’attività, scegliendo il minore di loro (Vincent) quale frontman. Il disco che la nuova formazione partorisce va di diritto ad inserirsi nel gotha del doom/gothic mondiale, perfetto esempio di come la scena inglese di metà anni ’90 non potesse assolutamente fare a meno di gruppi quali Paradise Lost, My Dying Bride e, appunto, Anathema… terzetto formidabile nel promulgare la causa del metallo più cupo, desolato e straziante. “The Silent Enigma”, va precisato, è un lavoro piuttosto ostico e pesante, almeno a prima vista: le nove tracce non brillano certo per dinamicità ed immediatezza, in quanto lunghi viaggi fra sogno e realtà, atmosfere eteree e bruschi risvegli, depressione e sprazzi di gioia fugace, consapevolezza del dolore di vivere e speranze di morte. Il timbro vocale di Cavanagh Jr., a dir la verità, non si discosta più di tanto da quello del suo predecessore e l’interpretazione che egli dà ai brani è quanto mai sofferta e disperata… necessita più ascolti per essere capito ed apprezzato pienamente, bisogna riuscire a farsi trasportare lentamente nel mondo crepuscolare e nebbioso che il CD ci presenta, e condividere le parole dei testi di “The Silent Enigma” in modo da amalgamarsi totalmente al lento e tenebroso pulsare delle note. Rispetto ai loro precedenti lavori, gli Anathema spalancano definitivamente le porte a forti influenze progressive e già si possono intravedere alcuni spunti che fanno presagire un futuro alla ricerca di nuove strade di sperimentazione e rispolvero di atmosfere seventies: lunghi passaggi strumentali acustici e parti più pacate ed intimiste rendono bene l’idea di quello che sapranno fare nel prosieguo della loro carriera. E’ difficile segnalare brani singoli, in quanto la cosa che più si apprezza di tale album è l’omogeneità delle sensazioni suscitate, per cui, a partire dall’inizio potente e cadenzato dell’opener “Restless Oblivion” (otto minuti di perfezione sonora) fino a giungere alla strumentale conclusiva “Black Orchid”, si completa un viaggio particolarmente alienante, passando, ad esempio, attraverso il delicato sussurro dell’ospite Rebecca Wilson nella toccante “…Alone”, la gotica epicità di pezzi quali “Shroud Of Frost” e “The Sunset Of Age”, oppure ancora la spettacolare “A Dying Wish”… e persino track meno riuscite, al limite dell’ostruzionismo sonoro, come “Nocturnal Emission” e “Cerulean Twilight”, lasciano il segno. Ho già accennato quanto l’aspetto lirico-poetico di questo lavoro vada ad assumere notevole importanza, anzi ne è sicuramente uno dei maggiori punti di forza: i testi sono intense poesie d’infinità tristezza e conscio malessere; inutile cercare di descriverle, l’ideale è leggerle mentre si ascolta la musica… capirete rapidamente cosa possa significare “The Silent Enigma” e la sua innata sensibilità. Insomma, il terzo full-length album degli Anathema risulta essere con merito uno dei più importanti capisaldi del gothic raffinato ed introspettivo, nonché ottima fonte d’ispirazione per moltissime altre band che verranno a seguire.