7.5
- Band: ANATOMY OF HABIT
- Durata: 00:41:05
- Disponibile dal: 10/11/2014
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
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Che bomba ragazzi. Che disco surreale, animalesco, spossante, audace e pieno di carattere. Che carneficina auditiva infinita… E’ un vero e proprio supplizio questo secondo disco della band noise-avantgarde-doom metal di Chicago guidata dal guru del noise Mark Solotroff dei Bloodyminded, e composta dal batterista John McEntire (Tortoise, The Sea And Cake, Gastr Del Sol eccetera), da Will Lindsay (chitarrista di Indian, ex-Middian, ex-Nachtmystium, ed ex-chitarrista dei Wolves In The Throne Room), dal percussionista Theo Katsaounis (dei Joan Of Arc) e dal bassista Kenny Rasmussen (ex-Radar Eyes). Un viaggio lugubre e allucinato in un grottesco tunnel di totale demenza e sofferenza post-industriale. Le basi di partenza della musica degli Anatomy of Habit sono le brutalissime, ossessive e ripetitive architetture no wave sadico ed allucinato degli Swans, e lo spoken word barocco, baritono e mantrico di Solotroff usato in tutto il disco non fa che riconfermare questo parallelismo innegabile tra gli Anatomy of Habit e il peggior (ovvero il miglior) Michael Gira. Il disco consta di sole due tracce che sono però un calvario infinito, monoliti di venti minuti l’uno che coprono un terreno stilistico impensabile, capaci di evocare mondi altamente eterogenei e altisonanti. Siamo al cospetto di due veri e propri abissi auditivi, un purgatorio di crudeltà noise rock e doom metal incredibile nella prima traccia, e disperata e spietata insensatezza post-rock e post-industrial nella seconda. “Radiate and Recede” si apre con un mantra ossessivo degno dei migliori Swans. La traccia si moltiplica su stessa come una grottesca scissione cellulare creando riff e strutture identiche a se stesse che si replicano in serie, ma in costante escalation. Parliamo di un minimalismo musicale assolutamente malato e ossessivo che cerca di straziare l’ascoltatore sfinendolo con un ipnotismo e una ripetitività aberranti, con un Solotroff avvilente e morboso che non smette neanche per un secondo di recitare i suoi luridissimi salmi. Passano dieci minuti della cataclismica escalation di tensione che troviamo come inizio del brano, che questo poi collassa, implode su stesso, aprendo una voragine di suono gigantesca. I riff si trasformano da tentennanti e ripetitivi rintocchi di scintillante riverbero in monumentali muraglie di melma doom, pesantezza disumana che cade schiantandosi al suolo come grattacieli imbottiti di tritolo. Solo questa traccia, risulta uno dei momenti più alti e significativi del post-metal targato 2014. Una sola traccia capace di sigillare il trionfo discografico della band. Ma non finisce qui, dopo i venti squassanti e annichilenti minuti di “Radiate and Recede” ecco arrivare gli altri venti di “Then Window”, altro supplizio monumentale che si apre ancora una volta con le familiarissime bastonate di ossessione sonica di scuola Swans, di “Filth”, “Cop” e di tutti i capolavori più primitivi e trucidi di inizio carriera in primis. La traccia poi assume connotati obliqui ed astratti andando a citare la no wave più cantautorale e tenebrosa di Nick Cave, Lou Reed, Codeine ed il post-punk/industrial più abbattuto di band come Einsturzende Neubauten, Rudimentary Peni e Bauhaus, per poi risalire la china del post-rock dalla grana più eterea quali Mono, Godspeed You! Black Emperor e Caudal disintegrandosi infine in un finale shoegaze straniante e nebuloso. “Then Window” è insomma una traccia molto diversa dalla prima che, seppur caratterizzata da un magnetismo e da una bellezza innegabili, ha un tantino smorzato il trionfo assoluto generato della prima canzone e lievemente ridimensionato un’opera che poteva essere un capolavoro assoluto di avant-doom, una nuova era inseritasi sulla scia di band band come Swans, Zeni Geva, Bodychoke, Neurosis, Today is the Day, Nadja, Big Black, Melvins e Sonic Youth. Applausi alla Relpase ancora una volta per il coraggio con il quale sta credendo in vere e proprie chicche borderline dell’undergorund, e ancora più ovazioni agli gli Anatomy of Habit, band dal carattere superbo che qualora decidesse di creare lavori meno ermetici e con canzoni più corte diventerebbe davvero una potenza inarrestabile.