7.5
- Band: ANGELUS APATRIDA
- Durata: 00:52:20
- Disponibile dal: 04/05/2018
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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Inchinatevi, infilate per bene la testolina nella simpatica semi-lunetta, chiudete gli occhi e attendete. La lama tagliente ed affilata degli Angelus Apatrida è pronta per abbattersi sopra i vostri capi intrisi di lerciume. Voi, dispensatori di menzogne, che avete messo il bavaglio al nostro pensiero, alle nostre parole, alla nostra voce, avrete la fine che vi meritate. Un monito mirato, diretto, senza peli sulla lingua, lanciato dai quattro thrashers di Albacete nei confronti dell’intera classe politica, corrotta, dispotica e assoluta protagonista di continue ingiustizie sociali. Un fiume d’odio riassunto in poco meno di un’ora e racchiuso nel qui presente “Cabaret De La Guillotine”, sesta fatica prodotta dalla band iberica in diciotto anni di carriera. Dieci tracce dieci in cui il gruppo spagnolo segna l’ennesimo passo in avanti verso la più completa, ma non ancora definitiva, personalizzazione stilistica e compositiva. Perché, se da una parte siamo di fronte ad un lavoro compatto, tellurico, ben prodotto, che farà felice sia i fan della vecchia guardia sia i metallari più moderni, maggiormente avvezzi ed aperti a sonorità più ‘pulite’ ed orecchiabili, dall’altra è innegabile il ‘tributo’ pagato ai padri fondatori del genere. Come già avvenuto negli album precedenti, infatti, i richiami ai mostri sacri provenienti dalla Bay Area, e in generale dalla terra a stelle e strisce, sono più che evidenti, generando così un concentrato thrash, comunque di assoluto livello, in cui stralci di Death Angel, Metallica, Testament, Exodus, Pantera e Overkill fanno capolino tra i vari brani presenti in tracklist. Ma non solo: in questo “Cabaret De La Guillotine” (una sorta di ristorante posto nella piazza principale della città dove, a fine ‘700, in piena rivoluzione francese, tra un boccone e l’altro si poteva assistere all’esecuzione di turno) vi sono pure stacchi di heavy più classico, in puro stile NWOBHM, andando quindi a creare un quadro complessivo davvero interessante e competitivo. Idee ben chiare quelle del quartetto di Albacete che, forti di una preparazione individuale di tutto rispetto, hanno sì portato punti a favore in chiave di personalità, ma comunque – più o meno furbescamente – non hanno altresì abbandonato quella preziosa traccia old-school che, a conti fatti, è risultata assai vincente. Ma veniamo a noi e saliamo con trepidante attesa sul patibolo iberico: dopo un’intro arpeggiata, “Sharpen The Guillotine” arriva sui nostri denti come un’autentica mazzolata in cui la sezione ritmica, davvero martellante, si alterna ad un refrain coinvolgente, più nitido e nel contempo corale. Una formula che si ripeterà in più di un brano a venire. E se con “Betrayed”, caratterizzata da una parte vocale quasi alternative in fase di strofa, i toni si appesantiscono leggermente, la matrice Death Angel/Testament risalta nella successiva “Ministry Of God”, esempio classico di thrash sudorifero e diretto. Un trittico iniziale che conferma ulteriormente la qualità generale della band iberica su cui spicca la figura di Guillermo Izquierdo ‘Polako’, chitarrista nonché singer dell’act spagnolo. Una dote, quella vocale, che ha inciso non poco sulla buona riuscita dell’intero full-length. Strali panteriani si odono all’interno di “The Hum” prima che riff plasmati da una certa “Disciple Of The Watch” prendano il sopravvento con il prosieguo del pezzo; una somiglianza che non arriva mai al classico (e fastidioso) ‘copia-incolla’, proprio per la bravura dei nostri nel saper superare l’ostacolo grazie a passaggi più singolari e studiati. Ancora Bay Area in “Downfall Of The Nation”, anticipando l’adrenalinica “One Of Us”, diretta e violentissima, come nelle più classiche sfuriate made in Overkill. Ritmi che rimangono appesi al filo del rasoio nella successiva “The Die Is Cast” in cui il dado lanciato a mille si ferma solamente in sede di ritornello, facendo così respirare l’ascoltatore. Da parte sua invece “Witching Hour” acquista un sapore maggiormente heavy: rocciosa, pesante, si fa largo tra un riff granitico e una ripartenza più rapida e cazzuta. Tutto ciò in attesa del gran finale che, secondo chi scrive, riassume la doppia anima degli Angelus Apatrida: riflessivi, intimi, ma anche aggressivi, potenti e sfacciatamente polemici. Si comincia con il gioiellino “Farewell”: una prima parte cadenzata e melodica, in cui la voce di Guillermo recita il suo addio all’amico Alberto, dedicando il brano a tutti coloro che ogni giorno combattono contro la terribile malattia del cancro, apre le porte ad una seconda trance 100% thrash per un pezzo davvero toccante e meritevole. L’esecuzione giunge quindi al termine con un’altra mazzata in pieno volto: in cinque minuti “Martyrs Of Chicago” fa piazza pulita di tutto e di tutti lasciando solamente un cesto pieno di teste mozzate sotto gli occhi soddisfatti del popolo. Preparatevi dunque: la ghigliottina degli Angelus Apatrida è in posizione; la lama del thrash iberico è pronta a colpire. Prego, fatevi pure avanti… .