8.0
- Band: ANGRA
- Durata: 00:50:47
- Disponibile dal: 30/10/2006
- Etichetta:
- SPV Records
- Distributore: Audioglobe
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Il sottoscritto ha sempre seguito con grande interesse la carriera degli Angra, principalmente per la passione nei confronti di una band unica nel suo genere, ma anche a causa della loro storia burrascosa ed instabile. Dopo un album strabiliante come “Holy Land”, sembrava naturale che gli Angra si sarebbero imposti come nuovi ed incontrastati leader della scena power prog mondiale: diciamoci la verità, pochissimi lavori in questo genere possono vantare la stessa qualità artistica, mantenendo al tempo stesso un’impronta stilistica così riconoscibile. Sfortunatamente, però, all’uscita di “Fireworks” il giocattolo si era già inceppato, portando alle conseguenze che tutti conoscono. Da quel momento in poi, gli Angra (per non parlare degli Shaaman di Andrè Matos, ormai definitivamente sciolti) hanno dovuto ricostruire la propria identità musicale, riassestando i risultati di una frattura profondissima e dovendo continuamente fare i conti con il proprio passato, così ingombrante nella sua incredibile perfezione. La band carioca, però, non si è data per vinta e così, un poco per volta, ha risalito la china, attraversando quella ‘rinascita’ che viene celebrata proprio nel primo album dei nuovi Angra. Dall’uscita di “Rebirth” sono passati già cinque anni ma, ora possiamo dirlo senza timore, i brasiliani ce l’hanno fatta, confermando con “Aurora Consurgens” quella freschezza e quella serenità che già si sentiva nel precedente album. Contrariamente a quanto fatto con “Temple Of Shadows”, la band recupera la componente più diretta e semplice della propria musica, pur senza rinunciare alle numerose sfaccettature del proprio sound: niente più ospiti, niente arrangiamenti eccessivamente arzigogolati e via libera alle chitarre di Loureiro e Bittencourt, sia che si tratti della potenza del loro riffing ineccepibile, sia che a farla da padrone siano funamboliche (forse fin troppo) evoluzioni soliste. La sezione ritmica, come sempre, non sbaglia un colpo, sostenendo ogni brano con un’ossatura solida e inattaccabile, che però, quando serve, sa mostrare la propria grazia ed eleganza con tocchi leggeri; tuttavia chi davvero lascia senza fiato, questa volta, è proprio Edu Falaschi, quel ragazzo che ha dovuto sobbarcarsi in questi anni il compito più difficile: sostituire un’ugola spaventosamente dotata come quella di Andrè Matos. Bene, il buon Edu, conscio dell’inutilità di cercare di imitare il proprio predecessore sulle tonalità altissime – la prova disarmante fornita al Gods Of Metal di quest’anno ne è la prova – opta per un approccio decisamente più profondo e caldo, rivelando una policromia di intonazioni che lascia davvero a bocca aperta. E le canzoni? Be’, anche questa volta c’è di che essere soddisfatti: si parte alla grande con la trascinante “The Course Of Nature”, perfetta nel suo ruolo di brano di apertura; si passa dalla cupa e malinconica “Ego Painted Grey”, in cui le chitarre, dopo un inizio arpeggiato, si impongono con un riffing serrato e roccioso; si sterza sulla ariosa e solare “Breaking Ties”, un brano sul ritorno alla vita e alla speranza; fino alla battuta finale, “Abandoned Fate”, un delicato pezzo acustico con ancora l’ottimo Falaschi sugli scudi. Il brano che lascia davvero senza fiato, comunque, è “So Near So Far”, che rappresenta alla perfezione quanto di meglio siano in grado di fare questi ragazzi: nei suoi sette minuti il brano si lancia su quelle atmosfere acustiche e percussive che vengono direttamente dalla tradizione di una nazione così ricca di calore come il Brasile; si sfiora la samba, si rallenta su uno stacco lento e ricco di atmosfera, poi fa capolino un assolo acustico flamenco e, infine, si termina in un crescendo elettrico. Insomma, un gioiello davvero! Che altro aggiungere? Forse ormai è troppo tardi perché la band si riappropri di quello status che aveva fatto gridare al miracolo dieci anni fa, però siamo sinceri: finché gli Angra continueranno a sfornare album di questa caratura, non ci sarà davvero di che lamentarsi.