7.5
- Band: ANGRA
- Durata: 00:58:20
- Disponibile dal: 03/11/2023
- Etichetta:
- Atomic Fire
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Ascoltando questo nuovo album degli Angra, ci è subito balzato alla mente come, in occasione del precedente full-length, “Ømni”, pubblicato ormai ben cinque anni fa, avevamo avuto occasione di intervistare Rafael Bittencourt, il quale ci raccontava, tra le altre cose, dell’idea di organizzare un tour celebrativo con i loro tre cantanti storici, ovvero l’attuale vocalist Fabio Lione, nonchè gli ex Andrè Matos e Edu Falaschi.
Purtroppo, l’anno dopo apprendevamo la sconvolgente notizia della scomparsa di Andrè Matos e di conseguenza il progetto è diventato per forza di cose irrealizzabile. Di certo gli Angra di oggi sono alquanto diversi da quelli di trent’anni fa, e l’eredità lasciata da quella line-up è tuttora molto forte e riconosciuta unanimamente a livello mondiale. Il gruppo brasiliano ha però innegabilmente saputo continuamente rinnovarsi e rigenerarsi, e ha saputo reggere di fronte ad autentici terremoti: pensiamo ai tempi più recenti con l’uscita pure del virtuoso chitarrista Kiko Loureiro, voluto alla sua corte nei Megadeth da Dave Mustaine, lasciando dunque l’arduo compito di portare avanti il moniker e la sua storia all’unico membro originale rimasto – appunto il chitarrista Rafael Bittencourt.
Bisogna però riconoscere come quest’ultimo abbia dimostrato di essere all’altezza del compito, circondandosi di musicisti indubbiamente di altissimo livello, come il nostro Fabio Lione, il batterista Bruno Valverde (voluto l’anno scorso anche dai Sepultura in tour), il bassista Felipe Andreoli (autore anche di un album solista molto apprezzato, “Resonance” del 2021) e da un ottimo chitarrista come Marcelo Barbosa.
Se, dunque, prima “Secret Garden” si era rivelato un buon album (il primo di quella che potremmo considerare la terza fase nella discografia della band) anche l’attuale line-up aveva dimostrato di saper fare ottime cose con un lavoro, senz’altro apprezzabile, come “Ømni”, per cui era fondamentale per la formazione brasiliana ritornare certamente con un degno successore di quest’ultimo.
Possiamo dire che, in effetti, “Cycles Of Pain”, si presenta come un disco che riunisce, così come il precedente full-length, i diversi stili e le diverse anime che hanno caratterizzato il sound della band, una sorta di sintesi di tutti gli elementi musicali presenti nella loro musica: ci sono così pezzi decisamente power metal (“Ride Into The Storm”, “Gods Of The World”, “Generation Warriors”), ci sono squisite melodie, passaggi di autentico prog metal, spunti di musica etnica (“Vida Seca”, che si apre con l’intervento del cantante brasiliano Lenine), ci sono anche splendide orchestrazioni. Oltre a quelli menzionati, si mettono in evidenza pure brani come “Dead Man On Display”, una traccia ricca di suggestioni o “Tides Of Changes”, suddivisa in due parti o, ancora, la titletrack, assai carica di pathos. Nel finale, in “Tears Of Blood”, ritroviamo come guest Amanda Somerville (Trillium, Aina, ma in generale protagonista di innumerevoli collaborazioni, specialmente nell’entourage di produzione di Sascha Paeth), che con la propria incantevole voce s’incastra in un duetto pregno di emozioni con la voce di Fabio.
Quest’ultimo si rende protagonista di performance davvero magistrali nel corso di tutto il disco, alternando interpretazioni teatrali, grintose, suadenti, accattivanti, facendo compiere talvolta anche un certo salto di qualità ad alcune tracce magari altrimenti alquanto convenzionali. Peraltro, ci ha un po’ sorpresi in un brano come “Faithless Sanctuary”, dalle atmosfere vagamente zeppeliniane, dove ha optato per un approccio che ci ha fatto pensare persino un po’ a Robert Plant.
La sezione ritmica, dal canto suo, si conferma davvero notevole, con Andreoli in particolare che non esita a ritagliarsi spazi da protagonista con assoli e giri di basso molto efficaci, mentre Barbosa se la cava bene con il suo stile effettivamente molto personale e che giustamente non cerca di limitarsi ad emulare un fuoriclasse come Kiko Loureiro.
In generale, a nostro avviso, “Cycles Of Pain” si presenta forse meno vario e per certi versi un po’ meno brillante rispetto ad “Ømni” e anche qualche brano, se vogliamo, appare meno incisivo (ad esempio, gli inserti etnici non appaiono stavolta sempre ben integrati nel loro sound), però tutto sommato è comunque un buon disco, ottimo a livello interpretativo e con diverse buone canzoni, a testimonianza di come gli Angra di oggi non siano una band di ‘sopravvissuti’, ma al contrario di musicisti che riescono ad esprimere molto bene le proprie qualità da protagonisti, nel pieno della propria carriera artistica.