9.5
- Band: ANGRA
- Durata: 00:57:02
- Disponibile dal: 23/03/1996
- Etichetta:
- Lucretia Records
- Distributore: Self
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È il 1996, gli Angra sono degli eroi all’interno del genere che spopola maggiormente tra i defender, il power metal, e sono attesi al varco. Nel 1993, quando molte band minori, scaricate dalle proprie label, sono costrette ad appendere i propri strumenti al chiodo (salvo poi tornare anni dopo, a tempesta finita) e molte delle band più popolari arrivano a compiere scelte scellerate per adattarsi al mood imperante creando i capitoli più infami delle proprie discografie, ecco arrivare nei negozi una ventata d’aria fresca intitolata “Angels Cry”. “Angels Cry” è un capolavoro, perfetto sotto tutti i punti di vista e, anche se non supportato a dovere dalla distribuzione e dalla label, grazie al passaparola ossessivo dei fan impazziti per un disco di tale portata, riesce a diventare immediatamente un album da avere a tutti i costi, tra i dischi che contribuiscono a traghettare il metal fuori dalle sabbie mobili quando la melma originatasi da Seattle comincia a ritirarsi. Ecco quindi il grande problema: come superare o quantomeno eguagliare lo splendore di “Angels Cry”? Ovvio, cambiando radicalmente il sound degli Angra! Il fattore power metal viene stemperato a favore della vena progressive dei Nostri ed elementi dal background culturale dei membri della band vengono incorporati al sound originale, quali percussioni tribali ed elementi folk propri del Brasile, ed in qualche modo anche la potenza metal vera e propria viene ri-dosata. A livello lirico viene studiato un gradevole concept che narra le esplorazioni nell’America Latina dopo il viaggio di Cristoforo Colombo ed un artwork in stile marinaresco, con tanto di rosa dei venti bene in vista in copertina. “Holy Land” esce il 23 marzo del 1996 ed è immediatamente un successo clamoroso. Il disco si apre con una intro incantevole, “Crossing”, mutuata dal compositore medievale Giovanni Pierluigi Da Palestrina, che lascia presto il passo alla serrata ritmica che dà il via alla potente cavalcata power metal intitolata “Nothing To Say”; la furia si placa però istantaneamente, quando arrivano le prime note di “Silence And Distance”, brano che parte dolce e triste con solamente il pianoforte e la voce magnifica di Andrè Matos a reggere la prima parte della canzone, prima di esplodere di melodie e ritmiche. Si arriva quindi al capolavoro dentro il capolavoro, “Carolina IV”, una suite da più di dieci minuti di durata che continuamente alterna ritmiche tipiche brasiliane a power metal neoclassico, il tutto mediato da una vena progressive azzeccatissima; arriva quindi il turno della title track, suadente, leggera e sognante, e di “The Shaman”, intensa e dotata di un mood leggermente aggressivo, mediato però dalle percussioni. È l’ora, poi, del singolo dell’album, “Make Believe”, lieve ed eterea durante la strofa quanto drammatica e disperata nel chorus, per un brano davvero ad effetto; “Z.I.T.O.” è una cavalcata power molto classica, che riprende, anche se per poco, il sound di “Angels Cry”, prima che “Deep Blue” e “Lullaby For Lucifer” riportino la calma accompagnando il fruitore alla fine del disco. Immensa, non ci sono altri termini, la prova del cantante Andrè Matos, che con questo album si conferma il più grande cantante mai arrivato al genere, e magnifica è la prestazione lungo tutta la lunghezza dell’album del duo alle chitarre Bittencourt/Loureiro; una sicurezza anche Luis Mariutti al basso e Ricardo Confessori alla batteria. Perfetta infine anche la produzione. Diverso da “Angels Cry” ma grande quanto “Angels Cry”, “Holy Land” è altrettanto fondamentale nella discografia di una delle band più importanti nella storia del power metal.