7.0
- Band: ANGUISH (SWE)
- Durata: 00:51:08
- Disponibile dal: 26/01/2018
- Etichetta:
- High Roller Records
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Nell’ecosistema doom contemporaneo hanno ancora piena cittadinanza band di scuola fieramente tradizionalista, per nulla propense ad aggiornare il proprio sound ad influenze moderne o spunti rivoluzionari. Doom metal tipicamente nordico, sporcato di death, è quanto vanno a suonare gli Anguish, di ritorno sul mercato a quattro anni di distanza dal secondo full-length “Mountain”. Fino ad allora uno dei pochi act affini al metal classico dell’arcigno roster Dark Descent, ora i quattro di Uppsala appartengono a quello della più tradizionalista High Roller, baluardo di sonorità ‘classiche’ tra i più rinomati del Vecchio Continente. Non vi sono aggiornamenti di rilievo alla voce ‘evoluzioni stilistiche’, la band porta avanti un discorso tutto suo, che ripercorre fedelmente il riffing dei Cadlemass per conferirgli un percettibile appesantimento e agghindarlo con vocalizzi sporchi e digrignanti, più adatti allo swedish death che al classic metal. Alla pari dei maestri svedesi, prima fonte d’ispirazione cui seguono neanche troppo da lontano i Solitude Aeturnus e i maestri finnici Reverend Bizarre, le canzoni si sviluppano dolenti e solenni, comprendendo vaghe arie epiche, capaci di uscire allo scoperto abbastanza facilmente grazie a un suono perfettamente rifinito ed equilibrato. La rotondità delle chitarre e la loro messa in primo piano dona un sicuro impatto a brani che trasudano mestiere e competenza, un impianto ritmico solido e un’interpretazione molto controllata, che quasi mai provoca cambi di fronte repentini o porta a vedute leggermente più ampie di quelle consuete. Un primo ascolto in blocco dell’intera tracklist farebbe effettivamente pensare a uno sforzo poco più che manieristico, per quanto di discreta fattura nell’ottemperare alla sua funzione di piacevole intrattenimento. L’ostacolo rappresentato dall’ostile voce di J.Dee può essere un freno ai normali fruitori di doom vecchia scuola, le doti interpretative del singer sono limitate e non sempre stanno al pari dei lunghi, immaginifici riff dipinti dalla coppia d’asce. C’è per fortuna dell’altro. Intanto, lo strascicato registro vocale ha dalla sua una peculiare narratività che, una volta assimilata, emana un particolare potere di fascinazione: la ricerca del chorus ad effetto non appartiene agli Anguish, più interessati a porsi quali barbari aedi di concetti antichi e dimenticati. Un’aura di fitto mistero si fa strada, fra armonie tese e pallidi echi bathoryani richiamati da brevi aperture ariose e sporadiche clean vocals, come quelle che imperlano di un magico spirito arcaico la stupenda “Of The Once Ravenous”, picco qualitativo solo sfiorato nelle restanti tracce. L’allitterazione di sezioni piuttosto simili, che si susseguono con lievi variazioni, viene spezzata da rari quanto azzeccati strattoni, ottimi per alzare il tasso di adrenalina delle composizioni e far emergere l’indole battagliera dei quattro. È proprio quando compare un pizzico di foga e il gruppo alterna in poche battute brutalità e visioni sognanti che si hanno i risultati migliori, mentre quando ci si incanala in slowtempo più lineari la convenzionalità è dietro l’angolo. Nel complesso, “Magna Est Vis Suignah” è un album riuscito, che se si è seguaci di un certo modo di intendere il metal, molto legato alle origini, potrebbe ben meritare anche un mezzo punto in più nella valutazione numerica da noi fornita.