7.0
- Band: ANNO MUNDI
- Durata: 00:46:00
- Disponibile dal: 01/09/2011
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Giunge in redazione la trasposizione digitale di questo vinile autoprodotto dei capitolini Anno Mundi, band che sin dalla sua presentazione palesa la ferrea (in questo caso metallica) volontà di mantenere il proprio sound legato a doppio filo con quelle sonorità settantiane ed oscure tanto care a Tony Iommi. Registrazione calda ed appassionatamente vintage è quella che grazia le nostre orecchie, stanche di vocalità sistemate in studio con i più moderni e maledettamente aggiornati software e di chitarre prodotte con lo stampo (per non parlare delle batterie, spesso artefatte e non fatte ad arte). Alla voce troviamo una vecchia conoscenza romana, Federico Magagnini, rinomato nel circuito delle tribute band per la sua vocalità assolutamente “axeliana”. Inutile dire che i solchi di questo disco trasudano l’atmosfera assolutamente onirica, oscura e pionieristica che echeggiava in quel di Birmingham nei primissimi anni Settanta, quello strano hard rock, pesantemente influenzato dal blues più “magico” e sulfureo, con chitarre che si prodigavano in riff lenti, ossessivi, inquietanti ed ammalianti come la cantilena di uno sciamano. Non era solo il proto-doom inglese a far da padrone in quegli splendidi anni, ma quanto nell’Inghilterra del rock come nella nostra bella penisola, il progressive raggiungeva il proprio periodo di massimo splendore. I Nostri porgono omaggio al talento italiano, alla creatività ed al coraggio artistico di quel periodo, inserendo in modo naturale quelle che non sono influenze, ma veri e propri geni radicati nel DNA di questi musicisti. Interventi di diversi strumentisti provenienti dalla scena prog-rock italiana arricchiscono questo interessante LP stampato in cento copie (autografate!) e presentato con un packaging di tutto rispetto (da un certo punto di vista quasi esagerato e troppo auto-celebrativo per il debutto di persone sconosciute al grande pubblico rock-metal, ma comunque meglio così, piuttosto che scarni CD registrati in cantina e con copertina disegnate dal nipote della vicina e venduti a prezzo pieno), comprendente foto, poster ed ogni ben di Dio (R.I.P.). Citiamo la bella “Dwarf Planet”, graziata dal sax tenore di Alessandro Papotto (Banco Del Mutuo Soccorso e Periferia Del Mondo), vera e propria citazione ed omaggio della mitica ed omonima canzone dei Black Sabbath. Venendo alle note dolenti, potremmo criticare una eccessiva monoliticità e staticità in un disco che se avesse incorporato maggiormente le trascurate e sottovalutate influenze blues e “nere” (e non oscure) dei primi brani di Iommi & Company (vedi “The Wizard”) sarebbe sicuramente risultato meno ostico e maggiormente dinamico. La voce, sopratutto nelle tonalità basse, ricorda davvero molto (troppo) Axl Rose, ma non colpevolizziamo certo l’ugola di Federico, solo riteniamo non sia molto adatta al genere proposto, anche in merito al modo in cui raggiunge certe tonalità alte, cercando di arrivare ad uno stile teatralmente declamatorio, quando in realtà pagheremmo per vedere il buon singer infilato in un paio di jeans stretti rubati a Bon Scott, impegnato a cantare veloci e dirompenti brani hard rock tra un sorso di Jack Daniels e un tiro di Marlboro. Concludendo, un LP che è in fondo un piccolo tesoro nella scena italiana, forse un po’ troppo auto-incensato e suonato addosso ai musicisti stessi e non per gli “ignoranti” fruitori, ma sicuramente uno splendido prodotto che farà la felicità di quei collezionisti che girano per mercatini in cerca di vinili. Chissà mai che un giorno una di queste copie autografate possa valere una fortuna.