7.5
- Band: ANOMALIE
- Durata: 00:51:28
- Disponibile dal: 17/03/2017
- Etichetta:
- Art Of Propaganda
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Dagli Harakiri For The Sky e dai diversi musicisti impegnati con loro in veste di membri ufficiali e reclutati per i live sta scaturendo nuova musica a cadenze elevate. Ne sono autori ragazzi posseduti da una forte ispirazione, bramosi di comunicare al mondo le proprie visioni musicali/intellettuali. Proprio di ‘visioni’ in un senso molto profondo tratta il terzo album degli Anomalie, creatura di Morrak, chitarrista dal vivo degli autori di “Aokigahara” e “III: Trauma”, che dopo aver rilasciato i primi due lavori come one-man band ha deciso di allargare la line-up in corrispondenza dei primi tour. Un’esperienza che deve averlo favorevolmente colpito, perché se la scrittura dei brani, nelle note e nelle parole, è rimasta a suo esclusivo appannaggio, ora la formazione è stata ufficialmente allargata ad altri tre elementi, già al lavoro col mastermind nei capitoli discografici passati. “Visions” segna una netta maturazione del combo austriaco, passato in poco tempo da essere una delle tante filiazioni post-black metal a un’entità dotata di forte personalità, dal suono dettagliato e nient’affatto propensa a farsi etichettare sotto un genere specifico. Nelle sette tracce dell’album, tutte dal minutaggio piuttosto elevato, emerge un disegno progressivo in passato già presente, ma ora più lucido e articolato. Non esistono cicli regolari in una traccia degli Anomalie, ogni canzone rappresenta un viaggio a parte, all’interno di sentori comuni di tristezza e introspezione, sentimenti a cui viene ora unita un’epicità sospirante presa dai Bathory e da tutto il filone viking metal. Un’influenza che si riflette nell’abbondante uso di cori puliti e di un avvampare chitarristico in volute ampie e rigonfie di pathos, che si accostano ai fragili dialoghi fra shoegaze e post-rock di prammatica in dischi di questo tipo. Però negli Anomalie tali soluzioni hanno una forza intrinsecamente metal non così comune, la pesantezza e la corposità del suono rimangono elevate, distintive del percorso artistico degli austriaci. Il camaleontismo in versione ‘elettrica’ ha una diretta corrispondenza in partiture acustiche meravigliose, che guardano al black atmosferico statunitense, come alla frangia inglese, se non addirittura agli Opeth dei primi tre album. Lo stacco secco rispetto ai passaggi più estremi e l’abbandono al raccoglimento, dove la voce volge a toni da crooner delle foreste, avviene in modi sempre nuovi, toccando nel cuore per la sensibilità emotiva infusa in ogni nota. L’indulgere in chiaroscuri eterei, il tratteggiare paesaggi sonici incantati non è la sola prerogativa dell’oggi quartetto, che non lesina in ruvide cavalcate e cambi di tempo veementi, riconducibili a un retaggio di classico death-black non andato, fortunatamente, perduto. Anche sotto questo punto di vista l’evoluzione è stata notevole, sono aumentate forza e complessità nelle parti più brutali, a cui viene dato un grosso slancio da una produzione potente ed equilibrata, migliore di quelle già buone adottate nei dischi precedenti. Manca il punto esclamativo, il vertice assoluto in “Visions”, ma si tratta di un’inezia, quella che avrebbe traghettato l’album a una valutazione di mezzo punto superiore: nell’insieme, Morrak e compagni hanno sfoderato un’opera affascinante, di ampio respiro e colma di sentimento, che lascerà il segno nell’animo di chi al metal estremo non chiede solo violenza, ma pretende in aggiunta potere evocativo e riflessività.