8.0
- Band: ANTE-INFERNO
- Durata: 00:47:00
- Disponibile dal: 22/11/2024
- Etichetta:
- Vendetta Records
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
Ci sono album che riescono a catturare un momento in modo talmente vivido da farlo quasi sentire addosso: la degradazione autodistruttiva di Trent Reznor in “The Downward Spiral”, le relazioni tra i Fleetwood Mac che vanno a scatafascio durante la lavorazione di “Rumors”, la violenza paralizzante dell’abuso domestico che Kristin Hayter cristallizza in “Caligula”, il vuoto che segue la perdita di un genitore, comunicato tanto in “Magma” dei Gojira quanto in “Carrie and Lowell” di Sufjan Stevens. Incertezza, depressione, rabbia. Cuori infranti di tutte le età, i generi e gli orientamenti affettivi.
Pur non toccando le vette di alcuni tra questi titoli, anche “Death’s Soliloquy”, opera terza degli inglesi Ante-Inferno, rientra in questa categoria. La vicenda umana che immortala è quella di Kai Beanland (voce, chitarra e soprattutto mente della band) e del periodo intenso e durissimo che ha vissuto negli ultimi anni.
Di questo momento di terremoti interiori, Beanland ha voluto operare quasi un’autopsia artistica, affidandosi al black metal maestoso e stratificato che ha consentito agli Ante-Inferno di mettersi in luce con i loro precedenti lavori, denso nelle composizioni e orientato alla massima esaltazione della componente emozionale. Componente alla quale si accosta, in questo album, una forte connotazione riflessiva, quasi filosofica, che accompagna l’ascoltatore in una meditazione sulla morte e su quanto struggente possa essere l’attaccamento alla vita.
Sul piano stilistico, “Death’s Soliloquy” conferma la capacità degli Ante-Inferno di offrire una rilettura personale del black d’atmosfera, dimostrando un gran gusto per i riff ammalianti e una certa abilità nel rinfrescare soluzioni che guardano ai classici del genere.
In questo disco, inoltre, si apprezzano anche gli effetti di un ennesimo cambio di formazione: dopo un esordio come trio e una prosecuzione come duo, infatti, la band ha ora assunto la forma del quartetto, con l’ingresso di Ben Gladstone alla seconda chitarra. Questo nuovo assetto ha concesso a Beanland una maggiore libertà espressiva e ha offerto nuovi stimoli a livello compositivo – per quanto Beanland e il batterista Gary Stephenson rimangano gli autori principali.
Fatte queste premesse, infiliamo finalmente le mani nelle viscere calde di questo meritevole lavoro.
“Death’s Soliloquy” è un album in due atti (divisi dal breve intermezzo “Into the Eternity of Death”) lungo i quali gli Ante-Inferno tessono un climax costante, che culmina nei quasi quattordici minuti di “An Axe. A Broadsword. A Bullet”: un pezzo ambizioso, quasi una suite, nella quale la band dimostra di saper giocare buone carte fino alle ultime mani della partita, oltre che di avere il pieno controllo sulla ‘regia’ del percorso musicale che ha costruito.
E a proposito di regia, la profondità straziante di “Death’s Soliloquy” viene immediatamente introdotta con la bella, efficacissima apertura su “The Cavernous Blackness of Night”, costruita attorno ad un giro di chitarra che arriva al cuore con romantica ferocia. Si fa notare già in questo brano la performance vocale, a tratti quasi soffocante, vibrante di una sofferenza personale capace di stabilire con l’ascoltatore una connessione quasi commovente.
Un altro aspetto che emerge fin dalla prima parte dell’album è la capacità degli Ante-Inferno di costruire una proposta organica ma al tempo stesso diversificata, fatta di canzoni riconoscibili e plasmate intorno a riff dalla solida presa.
In questo senso, spiccano sia “Towards Asphyxiating Darkness”, giocata su un uso sapiente del drumming ostinato e sulla litania di un riff che rimanda alla scuola d’Oltreoceano, che “Cold. Tenebrous. Evil.”, brano dalle connotazioni più ‘norvegesi’ dove il quartetto britannico tratteggia atmosfere più cupe e punteggia il proprio linguaggio di elementi death.
Una particolare menzione merita “No Light till Life’s End”, a nostro avviso uno degli episodi più potenti di tutto il platter, in cui gli stilemi del black più tradizionale vengono declinati in modi talvolta imprevedibili, enfatizzando il senso di perforante sofferenza che contraddistingue l’intero lavoro.
In conclusione, “Death’s Soliloquy” conferma la piena padronanza dei propri mezzi da parte di una band che ha scelto di esprimersi in una forma non banale e a tratti esigente per chi vi si accosta, ma che paga moltissimo se le si danno la pazienza e l’attenzione che merita.
Riprendendo il chiaro riferimento dantesco del loro moniker, vi invitiamo a farvi accompagnare dagli Ante-Inferno nei gironi più abissali della sofferenza umana. Come Dante, alla fine si “esce a riveder le stelle”.