8.5
- Band: ANTIMATTER
- Durata: 00:47:12
- Disponibile dal: 18/07/2005
- Etichetta:
- Prophecy Productions
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Antimatter. Ovvero: le molteplici forme dell’umana malinconia. Quante esse siano, tuttavia, non sempre ci è dato sapere. Spesso è una brezza che spira da lontano, un sasso che, cadendo da chissà dove sulle acque calme della vita quotidiana, viene dal nulla a generar cerchi che si allargano fino a toccare sponde di ricordi da tempo dimenticate. Altre volte – succede – è un richiamo. Una direzione da prendere, da seguire, o dalla quale lasciarsi portare via. Lo sapranno bene Mick Moss e Duncan Patterson, giunti al terzo album della loro amata creatura, gli Antimatter, che con questo “Planetary Confinement” giungono al momento della svolta, proprio perché chiamati, evidentemente, dalle proprie personali esperienze a proseguire la loro carriera verso due differenti direzioni: per dedicarsi completamente al progetto Ion Duncan Patterson lascia infatti con questo album gli Antimatter, che continueranno da qui in avanti la loro avventura nella sola persona di Mick Moss e dei collaboratori che di volta in volta lo affiancheranno. Intanto, il terzo passo di questo cammino iniziato dopo la dipartita di Patterson, lo ricordiamo, dagli Anathema nel 1998 si sviluppa oggi in una nuova direzione, quella che in effetti mancava alla strana forma di vita musicale Antimatter. Nuova direzione, nuovo cammino: “Saviour” era stato l’altezza; “Lights Out” la profondità. Con “Planetary Confinement” si giunge infine alla larghezza, la dimensione che permette agli Antimatter di trovare il baricentro, di poggiare finalmente i piedi (scalzi) sulla nuda terra, e di lasciare finalmente su di essa l’impronta, il segno del proprio passaggio. Lontano dalle sonorità rock di “Saviour”, ma ancor di più dalle dilatatissime, elettroniche ed oscure atmosfere del suo successore, il nuovo lavoro è stato registrato in due sessioni – una in Inghilterra, a Liverpool, firmata da Moss, e l’altra nelle Midlands irlandesi, ad opera di Patterson – in cui le due anime del gruppo sono state affiancate persino da musicisti diversi; nonostante questo, le tracce (che si alternano in modo che quelle di numero dispari appartengano alle Irish Session, e quelle di numero pari alle English Sessions) si amalgamano perfettamente le une alle altre, in un disco completamente acustico che sa di vento, di bosco e di mare, con un Mick Moss dalla voce in uno stato di grazia tale da scaldare la pelle e far vibrare l’aria di melodie semplici, calde e madide di una malinconia profonda e viva, sorella della umida terra di settembre che lentamente si assopisce prima di scivolare nel torpore invernale. Per la prima volta è calda, sì, l’antimateria, calda come l’indimenticata Joni Mitchell di “Blue”, tanto per intenderci, antimateria calda e fremente di vita che per una volta sorvola sul proprio abituale perfezionismo per lasciarsi andare ad una più spontanea atmosfera à la buona-la-prima, in cui qualche piccola imperfezione non fa che impreziosire e conferire altra autentica bellezza al già strabordante e doloroso fascino di gioelli come la title track (nella quale qualcuno certamente riconoscerà il familiare sound di certi Anathema dei tempi andati), la vibrante “The Weight Of The World” o la struggente “Epitaph”, che si tiene in equilibrio tra i due poli della profonda voce di Moss e la morbida melodia tessuta dal violino di Rachel Brewster. Nelle Irish Sessions, come del resto era ormai tradizione per gli Antimatter, trovano invece spazio, oltre alla cover di “Mr. White” dei Trouble, le più cadenzate composizioni di Patterson, tutte affidate alla (crediamo volutamente) monocorde voce della francese Amélie Festa, nenie che sembrano venire dal cuore stesso dell’inverno irlandese, da focolari lontani fino ai quali da lontano arriva, ovattatta dalla distanza, la voce rabbiosa del mare in tempesta. Stupenda, infine, “Legions”, ispirata assai probabilmente dalle amare vicende che feriscono il mondo dei nostri giorni. Di più non sapremmo, né vorremmo, dire: in questa nuova dimensione, gli Antimatter di “Planetary Confinement” conducono lo sguardo – loro e dell’ascoltatore – alle umane cose, alla terra, al pianeta in cui sono confinati. Dietro il filo spinato in copertina, non lo crediamo improbabile, si completa e trova infine compimento un ciclo, e allora forse ancor più significativa e ironica risulterà la traccia posta in conclusione, “Eternity part 24”. Tutto quello che verrà poi farà parte di un nuovo corso ma intanto, a onor del vero, se lo avvicinerete, vi ritroverete “PlanetaryConfinement” conficcato nel muscolo cardiaco come una spina. Perché del resto, quando si è confinati, qual è, dov’è la giusta direzione da prendere? “It’s somewhere, hidden from view”.