7.5
- Band: APE UNIT
- Durata: 00:14:29
- Disponibile dal: 09/07/2022
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A cinque anni dal validissimo split con gli inglesi Horsebastard, tornano gli Ape Unit con una nuova opera all’insegna del loro ormai tipico grindcore/powerviolence in alta fibrillazione. Ancora una volta, siamo dalle parti del versante più schizoide e stravagante del genere, con un sound esplosivo e dadaista, dove tutto o quasi odora di gioco dissacrante e provocatorio. In un panorama estremo dove ormai si prova e si sente di tutto, musica come quella orchestrata dal gruppo piemontese – in cui ricordiamo militano alcuni ex membri dei compianti death metaller Septycal Gorge – forse non fa più scandalo o non spaventa, ma certo diverte e molto chi si voglia imbarcare nel loro folle viaggio. Di nuovo si apprezza la capacità della band di inserire un’ampia gamma di spunti e influenze in tracce estremamente compatte e serrate, dove la classica rapidità della sezione ritmica fa da base a un continuo gioco di contrasti e sovrapposizioni, con le sempre più insistenti e slabbrate influenze noise rock a dividersi ormai il ruolo di protagonista con la materia grind di partenza.
La rutilante giostra inizia con “Please, Don’t Spell St-Tropez!”, nella quale si sentono persino lontani echi black metal, e da lì la tracklist si sviluppa in un puntuale e convulso saliscendi con chitarre in aperta abrasione e linee vocali che riescono a toccare molteplici sfumature di urla, growling e declamazioni, il tutto sempre con un approccio spontaneo e organico. È un sentiero sonoro impervio, quello architettato dagli Ape Unit, basato sul dialogo/scontro tra varie influenze e imbevuto di una sfrontatezza sbattuta apertamente in faccia all’ascoltatore. È forte l’influenza della fervente scena grind/hardcore di Leeds (The Afternoon Gentlemen, Gets Worse, i suddetti Horsebastard…), così come quella di pilastri noise quali Melt Banana o Lightning Bolt: il gruppo riesce tuttavia a trovare una quadra grazie a una notevole preparazione tecnica e alla succitata capacità di sintesi, facendo emergere un suo tocco distintivo soprattutto quando il materiale si fa particolarmente elaborato.
Con una durata complessiva di nemmeno un quarto d’ora, “Filth” può dunque indurre assuefazione, soprattutto nel caso si voglia prestare estrema attenzione e contare tutti i cambi di tempo presenti nei singoli episodi. Un labirinto da cui non sarà semplice uscire.