7.0
- Band: APHONIC THRENODY
- Durata: 00:56:46
- Disponibile dal: 16/10/2020
- Etichetta:
- Transcending Obscurity
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Con la loro regolare cadenza triennale si ripresentano sulle scene anche gli Aphonic Threnody, band internazionale dedita ad un cupo e miserevole doom-death metal dai forti retaggi funeral e ossianici. Il duo composto da Riccardo Veronese, chitarrista e bassista britannico di chiara origine italica ed attivo anche nei Towards Atlantis Lights, e da Juan Escobar, cileno, ex Mar De Grises e all’opera su chitarra, basso, tastiere e voce, resta orfano di Roberto Mura e porta in stampa il terzo full-length album intitolato “The Great Hatred”, caratterizzato da una cover che, a differenza delle due precedenti, relative a “When Death Comes” del 2014 e a “Of Loss And Grief” del 2017, non colpisce per particolarità, nè per senso di forte ribrezzo.
Ma tant’è, ciò che più importa, al solito, è il contenuto musicale del disco, che ri-attesta gli Aphonic Threnody quali buoni/ottimi epigoni di formazioni storiche e ormai entrate nella leggenda del genere, a partire da My Dying Bride, Evoken, Mournful Congregation, Monolithe e Ahab, fino a giungere ai Novembre più statici, i primi Katatonia, i The Foreshadowing e in parte anche a Type O Negative e Moonspell, per alcuni approcci vocali molto gravi e teatrali di Escobar. Il fulcro del discorso, comunque, anche senza scomodare alcun nome di più o meno alto livello, risiede nella capacità e nell’abilità del gruppo esaminato di trasbordare verso l’ascoltatore le comuni e ben note sensazioni di frustrazione, oblio, annichilimento dei sensi, decadenza, morte e perdizione.
In questo terzo “The Great Hatred”, in particolare, non troviamo brani-monstre della durata superiore ai quindici minuti, ma tracce relativamente più contenute, sebbene l’opener “Locura” sia la più corta del lotto e duri ben sette minuti e mezzo. Fruire del lavoro, dunque, risulta più semplice che in passato, si voglia anche per una costante proposizione di melodie chitarristiche accattivanti, agganci melodici e pseudo-assoli di gran fattura, donanti al disco una marcata accessibilità, chiaramente sempre considerando il genere di cui si sta disquisendo, non particolarmente adatto alla massa. Il lavoro di Escobar alle tastiere e la sua varietà vocale paiono essere i punti focali per inquadrare meglio questa release, che man mano che avanza nella tracklist si stacca dal suo afflato più funeral per abbracciare coordinate maggiormente doom-gothic e progressive, con keyboards, pianoforti e passaggi più soffusi ad aumentare in quantità ed intensità. Non a caso sono i pezzi finali – citiamo volentieri “The Rise Of The Phoenix”, “The Fall” e la titletrack – a convincerci compiutamente; mentre la già citata “Locura” e la seguente “Interrogation”, pur con il suo incedere a tratti marziale e da violento headbanging, risultano più fredde e anonime.
Tutto sommato, pur potendo concedere agli Aphonic Threnody probabilmente anche un mezzo punto in più, riteniamo che la band non riesca ancora a far scoccare quella scintilla, quel quid, quello spunto che la porterebbe più in alto, al di sopra dei tanti nomi che affollano la grande bolgia delle seconde e terze linee del doom metal tutto e delle sue diramazioni. Solo una buona conferma, dunque, che consigliamo ai completisti del genere.