7.5
- Band: APOCALYPSE ORCHESTRA
- Durata: 00:59:36
- Disponibile dal: 14/02/2025
- Etichetta:
- Despotz Records
Spotify:
Apple Music:
La fine del mondo è su di noi: pestilenze, fiamme e stregonerie abbondano ovunque e ci si rivolge a santoni e medici erranti per trovare delle soluzioni. No, non è l’attualità ma, visti i tempi che corrono, il concept attorno a cui ruota il secondo disco degli Apocalypse Orchestra, “A Plague Upon Thee”, sembra quasi essere una metafora della contemporaneità.
Nato in Svezia nel 2013, il quintetto, arrivato sull’ultima onda dell’esplosione del folk metal, si era già fatto notare per il debut del 2017 “The End Is Nigh”, presentando delle sonorità che pescavano a piene mani da conterranei come Thyrfing o vicini di casa come i Moonsorrow, ma in un modo estremamente malinconico e spogliato di qualsivoglia aggressività.
Abbiamo dovuto aspettare ben otto anni perché i Nostri riuscissero a sfornare il secondo, atteso album, che è sostanzialmente una riconferma della bravura di questi musicisti nel saper interpretare un genere che ormai aveva poche frecce nel proprio arco, presentandoci una musica epica, drammatica e cupa quanto basta, arricchita da ghironda, liuto e tutti quegli strumenti che di solito accompagnano queste sonorità.
Come dei poeti, i Nostri raccontano il passato soffermandosi su superstizioni, credenze, zeloti e saccheggi: un approccio quasi più da trovatori che da grandi compositori. A partire dall’iniziale “Virago”, infatti, non c’è nulla della violenza e della spinta che di solito accompagna il folk metal quando si parla del passato; semmai, si cerca di raccontare la fascinazione che storie e leggende avevano sulla popolazione comune, cosa che traspare anche dalla bellissima copertina in stile miniato.
Streghe, pestilenza, ma anche miracoli, come nel singolo “Glass And Sun”, sempre con una cadenza a metà fra doom e viking metal che solo in parte ricorda i pezzi più lenti di Bathory, ma abbraccia un orizzonte sonoro più variegato e complesso muovendosi di tanto in tanto fra voce pulita e growl. L’utilizzo della ghironda e del liuto non sembra mai fuori posto ed è davvero parte integrante delle composizioni (un po’ come succedeva con gli Haggard dove la parte di musica classica era perfettamente inscritta nelle canzoni), tanto che spesso gli assoli sono fatti con più strumenti assieme, a partire dall’ottima chitarra di Jonas Lindh.
C’è qualcosa di Amorphis, ma ci viene da dire anche di Green Carnation, in pezzi come “Anchorhold” e “Sacrament Of Avarice”, dove emerge la perizia assoluta della band in fase di missaggio grazie a un lavoro attentissimo sui cori da parte di Mikael Lindström, Rikard Jansson e Erik Larsson – i tre polistrumentisti che, oltre ad occuparsi di chitarre e basso, suonano anche tutte le parti più folkloristiche.
Sebbene la parte ritmica non sia molto variabile, con un quattro quarti sempre molto cadenzato a cura del batterista Andreas Skoglund, c’è qualcosa di ipnotico nella musica degli Apocalypse Orchestra, capace di tenere incollato l’ascoltatore fino alla fine di “A Plague Upon Thee”, il quale si chiude con la storia di “Saint Yersinia”, una pellegrina piagata dal morbo della pestilenza che, forse, riuscirà attraverso il dolore e il sacrificio a trovare la sua redenzione.
Se siete appassionati di storia, di leggende medievali, di superstizione, di occulto (ma anche di videogiochi a tema come “Kingdom Come: Deliverance” o i vecchi “Age Of Empires”), “A Plague Upon Thee” è una vera boccata d’aria fresca in un genere che sembrava ormai avere ancora poco da dire, suonato da musicisti molto bravi ed ispirati, perfettamente in grado di trasportarvi tra le storie di un manoscritto miniato, da leggere fino in fondo.