7.0
- Band: APRIL ART
- Durata: 00:36:20
- Disponibile dal: 04/10/2024
- Etichetta:
- Reaper Entertainment
Spotify:
Apple Music:
Se è pur vero che non si giudica un libro dalla copertina, nel caso degli April Art il tentativo d’indovinare ad orecchie chiuse – un incrocio tra gli Infected Rain e una popstar di razza, tipo Dua Lipa o Nicki Minaj – non ci avrebbe portato troppo lontano dalla verità. Al netto della somiglianze a livello di criniera tra le cantanti, anche la band tedesca prende le mosse da un nu/modern metalcore, dove però a differenza dei colleghi le strutture ritmiche sono molto più semplici e il cantato di Lisa-Marie Watz graffia, ma senza mai ricorrere allo scream.
Il termine di paragone più calzante è con la ‘next gen‘ del modern metal col doppio cromosoma X (Future Palace, As Everything Unfolds, Setyøursails), ma per gli ascoltatori meno avvezzi possiamo citare un mix multivitaminico di Amaranthe, In This Moment e The Pretty Reckless depurato di tutte le sovrastrutture (seconde voci, arrangiamenti, assoli, etc.).
Quello che offre “Rodeo”, terzo album per la band di Hessen a due anni di distanza da “P.O.K.E.R.F.A.C.E.”, è dunque una bella botta di energia a partire dalla title-track posta in apertura, classico anthem pop-mosh a base di chitarroni iperprodotti e ritornelli festaioli.
Una formula collaudata e che procede in maniera efficace con minime variazioni sul tema: “Burn”, “Who I Never Meant To Be” e “Not Sorry” catturano l’attenzione (e vengono altrettanto facilmente dimenticate) come un reel di Instagram, mentre l’electro-core di “Jackhammer” svetta nel mucchio grazie ai synth degni degli Electric Callboy, oltre a mettere in mostra le discrete capacità della frontwoman nel costruire il flow.
Il tentativo di cambiare registro sul finale (la versione acustica di “Not Sorry”, il rap-pop-core un po’ confuso di “Change Pt II”) mostra i limiti degli April Art nell’uscire dal seminato, ma finché si tratta di far caciara restando nei canonici tre minuti (“Let Em Go”, “Head Up High”) tutto funziona alla grande. Così come nessuno si aspetta Lars Von Trier quando guarda “Machete” di Robert Rodriguez, allo stesso modo “Rodeo” mantiene ciò che promette: pop-mosh all’acqua di rose, ma fatto bene.