7.0
- Band: APTORIAN DEMON
- Durata: 00:28:43
- Disponibile dal: 15/11/2024
- Etichetta:
- Kyrck Productions & Armour
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É ormai un dato di fatto che buona parte della scena black metal norvegese degli ultimi anni si concentri in quel di Trondheim. Il cosiddetto “Nidrosian Black Metal” (da Nidaros, il norme medievale della città), grazie anche al lavoro di etichette come la Terratur Possessions, è riuscito a ritagliarsi un posto di assoluto livello nel panorama musicale norvegese e non solo. Dai Mare, passando per Celestial Bloodshed e Keep Of Kalessin, fino ad arrivare a Whoredome Rife e Vemod, si è portato avanti il tema di un black metal abbastanza originale, in bilico tra melodia e intransigenza, caratterizzato da arrangiamenti più curati e una certa cura nei suoni in linea con le produzioni attuali. Parallelamente a questa nuova scuola sonora, troviamo però tutta una serie di band che si muovono nel sottobosco underground nidrosiano, come i sottovalutati Gjendød e, appunto, gli Aptorian Demon, due gruppi fortemente legati tra di loro e che condividono infatti due dei membri.
Nati a metà degli anni duemila da Magnus Hjertaas (già membro di Mare, Celestial Bloodshed e Keep Of Kalessin), questo misterioso progetto ha all’attivo solamente un EP e l’interessante “Libertus”, album del 2012 dopo il quale si persero le tracce. A dodici anni di distanza – e grazie all’aiuto dei due membri principali degli Gjendød – gli Aptorian Demon tornano con questo “Liv Tar Slutt”, un lavoro anacronistico, nerissimo e criptico, in cui c’è poco spazio per la modernità. Mezz’ora scarsa divisa su quattro brani (più un intro e un outro) in cui non c’è un secondo di respiro e in cui l’atmosfera si fa asfissiante e per nulla confortevole.
Il fil rouge che lega Gjendød e Aptorian Demon è quello di una musica grezza e destabilizzante, in cui le chitarre vomitano muri di riff dissonanti, certo non particolarmente originali e ancora parecchio legati alla scuola classica norvegese, ma tremendamente aggressivi, onesti e maligni, cosa non da poco.
Da “Die Hexe Von Buchenwald”, tributo totale alle spigolosità dei Darkthrone di “Under A Funeral Moon” e dei primissimi Gorgoroth, fino alla sulfurea “Ildskjær”, che barcolla tra blast-beat minimali e lentezze funebri, non c’è un solo momento di luce, complice anche una voce che mette decisamente a disagio, vicina ai primi Dødheimsgard in fatto di teatralità ed estro. Meravigliosa la claustrofobia sonora di “Når Livet Tar Slutt”, solo apparentemente addolcita da vaghi inserti di chitarre acustiche che fanno invece da protagoniste nei cinque minuti, acustici appunto, della notturna “Sviking”, che ci risparmia l’essere l’ennesimo tentativo di una band di suonare come “Kveldssanger” degli Ulver, preferendo un mood meno bucolico e più vicino alla musica folk americana.
Lasciano il tempo che trovano invece i due brani strumentali posti in apertura e chiusura, che sembrano meri riempitivi e danno come la sensazione che manchi qualcosa, soprattutto alla luce di ciò che di buono i norvegesi ci fanno vedere nei tre brani veri e propri.
Un EP dunque travestito da album, questo “Liv Tar Slutt”, scritto da una band che dimostra una certa confidenza in quello che fa, senza grosse pretese di originalità, ma con una cattiveria e un’intransigenza invidiabili. Il che rende ancora più frustrante la scelta di un minutaggio effettivo così esiguo.