7.5
- Band: ÅRABROT
- Durata: 00:42:10
- Disponibile dal: 26/02/2016
- Etichetta:
- Fysisk Format
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Kjetil Nernes non è esattamente un tipo che si butta giù tanto facilmente. Una volta diagnosticatogli un cancro alla gola nel 2014, ha pensato non ci fosse null’altro di meglio da fare che gettarsi in un nuovo tour coi suoi Årabrot, compagine noise norvegese passata in pochi anni dal provocare sensazioni di ribrezzo e terrore, a vincere addirittura un Grammy nella terra natia. Nel frattempo, in consequenzialità alle aperture istrioniche manifestatesi nel precedente disco eponimo, Kjetil ha assemblato un pezzetto alla volta un altro album in cui svelare al prossimo l’ampliamento delle sue idee musicali, sotto forma di una nuova, dissennata, campagna di delirio. Come se il tumore fosse soltanto un fastidio da affrontare ed eliminare quanto prima, per lasciare nuovamente campo libero alle turbe psichiche del mastermind, di norma abbastanza prodigo di provocazioni, eccessi, scurrilità, morbosità sia testuali che musicali. Il poliedrico musicista nordico ha vinto la sua battaglia contro la malattia e rilasciato infine “The Gospel”, cui è già seguito un altro ampio tour europeo a supporto. I contenuti dell’opera offrono degli Årabrot ancora una volta enigmatici, poco malleabili, ingestibili probabilmente per le normali categorie comportamentali alle quali si vuole spesso costringere le rock band contemporanee. Il fronteggiare viso a viso la morte ha stimolato Nernes a un panorama vocale inacidito, un decantare effettato e stonato che comunica disagio e sarcasmo, apocalisse e sfacelo, divertimento di cattivo gusto e percezione distorta del creato. Si passa dai toni di avvilito crooner a quelli di demone industrial, da quelli di un singer country in rovina al salmodiare spiritato di certo stoner/doom fumoso e sperimentale. Tutt’attorno operano percussioni dal taglio militaresco e marziale, marcette e mantra si completano l’un l’altro, in uno scambio di doni infami che vede al centro dell’attenzione un costante sentimento di assurdità, un rocambolesco divenire effettato, ingentilito balzanamente da lievi intrichi di tastiere e arie insalubri. Epicentro di “The Gospel” è il pellegrinaggio sludge/drone, circolare e asfittico, di “Faustus”, dieci minuti di fastidiosa pesantezza che arrivano da un altro emisfero del pianeta Årabrot, una fragile connessione a un passato di incisioni nella carne e nello spirito nette, profonde, dolorosissime. Un dolore ora somministrato in modo meno decifrabile e immediato negli effetti, sfarfallante fra i lamenti e l’eleganza di “I Run”, lanciata in progressione da convulsioni della batteria, un piano cristallino e i singulti di un accorato Nernes. Altrove le algide tonalità del post-punk immalinconiscono e incupiscono visioni desolate, violentemente solitarie, fra chitarre ruvidamente crepuscolari che si ispessiscono di colpo e si sfrangiano in melodie stonate, orecchiabili ma sempre un poco schizzate (“Tall Man”, “Darkest Day”). L’unitarietà d’intenti non è una fissa degli Årabrot, che soprattutto nella seconda parte del disco concedono ampio spazio alla bizzarria tout-court, dandoci dentro coi labirinti di note e una caustica aggressività deviata, contornata da vocals screziate, appuntite e spigolose come nella migliore tradizione noise (“Ah Feel”). Il piglio da teatranti sotto anfetamine, marchio di fabbrica mai occultato nel corso delle trasformazioni subite dagli esordi a oggi, consente alla band di mantenere assieme gusto per la narrazione affabulatoria, grazie alla voce magnetica del leader, e una sordidamente fascinosa apertura verso l’ignoto. Bislaccherie ‘alla Melvins’ che non fanno scemare l’interesse per la forma canzone, rispettata con un certo rigore in brani ricchi di arrangiamenti e digressioni come “And The Whore Is The City” e “I Am The Sun”, dove nell’insieme di input contrastanti emergono pregnanti chorus d’impatto e una voglia di stupire funzionale all’epica amara permeante l’intero “The Gospel”. Un album che coi suoi spezzettamenti, disturbi, fastidi si connota di fiera unicità e, se non si riesce propriamente ad amare per quanto lascia stranamente turbati e in difficoltà, val davvero la pena approfondire, per cercare di capire cosa si nasconda e si dibatta nell’animo di un artista talentuoso e assolutamente sui generis come Kjetil Nernes.