7.0
- Band: ÅRABROT
- Durata: 00:18:49
- Disponibile dal: 22/01/2021
- Etichetta:
- Pelagic Records
- Distributore: Audioglobe
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In attesa che la fecondità creativa del duo Kjetil Nernes e Karin Park si riveli ad ampio spettro nel nono album “Norwegian Gothic”, la talentuosa coppia di artisti scandinavi, chiusa nella sua isolata chiesa sconsacrata dove dimora da qualche anno, si offre sovente al pubblico per uscite laterali agli album ‘regolari’. Così, dopo aver musicato il film muto di Fritz Lang “Die Nibelungen”, seguito da un ep in collaborazione con Lustmord (autore di un remix proprio di “Die Nibelungen”) e Andrew Liles, titolato “Our Time Is Fix’d”, ecco un’altra breve pubblicazione, comprendente tre brani provenienti dalle sessioni di registrazione di “Who Do You Love”. Addirittura, la titletrack doveva essere la canzone-cardine del disco, salvo poi restarne fuori. Eccentricità degli Årabrot, che in questi pezzi si mostrano nella loro versione più minacciosa, cupa, dannata. D’altronde, l’ispirazione per liriche e atmosfere scaturisce dall’appassionata lettura di “Eliogabalo” di Antonin Artaud, romanzo dalla scrittura piuttosto ‘forte’, una specie di autobiografia atipica del suo autore, filtrata dalle sanguinose e oscene vicende dell’imperatore romano Eliogabalo.
Senza entrare più nel dettaglio dei contenuti di un’opera nient’affatto scorrevole e di facile lettura, quel che interessa a Nernes, e a noi di riflesso, è la celebrazione dell’anarchia, di uno slacciarsi dalle convenzioni e dalle strutture su cui si regge la vita civile, per annientare e azzerare la società nelle fondamenta. Un tema sviscerato coi toni dissacranti e le sonorità tremende che gli Årabrot hanno saputo maneggiare nel corso della loro camaleontica evoluzione, quella che li ha portati dall’estremismo dei primi lavori allo speciale impasto di noise, dark e gothic rock degli ultimi album, quelli che ne hanno decretato ampi favori di critica e un percettibile allargamento della platea di fan. Pur essendo piuttosto breve, meno di venti minuti e solo tre canzoni effettive (anche se i quattro minuti finali di “The World Must Be Destroyed (Spoken)” non meritano di essere tralasciati), il materiale qui contenuto è all’altezza delle cose migliori partorite dal duo Nernes-Park negli ultimi anni.
La titletrack, allora: un martellamento ansiogeno, disturbante, le chitarre divelte in un suono grosso e graffiante, mentre basso e batteria spingono altrettanto scorbutiche e metalliche e la voce di Nernes pare in preda ad un nauseante delirio. Instabile, delirante, la canzone si alleggerisce (relativamente) solo all’altezza del refrain, quando il singer si pone come declamante sacerdote, messaggero di un concetto ineluttabile: il mondo deve essere distrutto. “The Coming” sprofonda nel gotico, si immelma nelle torbidezze facendo leva su un plumbeo minimalismo e un basso gorgogliante ne scandisce il luttuoso e tremebondo dipanarsi; la voce si espande in una nenia insensata e raggelante, la follia ancora latente, non così esplosiva come nella traccia precedente, anche se sul finale, in un fiume di parole, Nernes pare perdere completamente il senno… Gli innesti di fiati e le manipolazioni sonore da parte di membri esterni (tra gli ospiti abbiamo il tubista Kristoffer Lo, Andrew Liles dei Current 93 e Dana Schechter degli Swans) si fanno sentire nelle arie da sountrack di “Another Hallucinatory Dream”, che come da titolo, al netto di un drumming potentissimo, evoca scenari onirici, seppur permeati di pericolo e palpabile disagio. Parliamo quindi di tre canzoni che avrebbero elevato il livello di “Who Do You Love”, album riuscito ma un po’ altalenante nel livello della tracklist e con qualche discutibile scelta stilistica ad abbassarne il valore. Ascolto consigliato agli adepti degli Årabrot, che avranno sicuramente già avviato il conto alla rovescia per “Norwegian Gothic”.