6.5
- Band: ARAN ANGMAR
- Durata: 00:36:36
- Disponibile dal: 30/04/2023
- Etichetta:
- Hellstain Records
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L’esordio di due anni fa ad opera dei black metaller di provenienza mista Aran Angmar ci ha convinto a suo tempo per via del sapiente utilizzo delle melodie, inserite però in un contesto tetro e maligno, come ben si addice a un progetto appartenente al più malvagio tra i filoni della nostra musica preferita.
Per il loro secondo lavoro, intitolato “Atavism & Dying Syars”, i quattro musicisti coinvolti adottano delle soluzioni parzialmente differenti rispetto al predecessore: la componente melodica risulta ancora presente, ma in dosaggio evidentemente ridimensionato, in favore di una deriva generale più solida dal punto di vista del sound e con un’atmosfera generale più tetra, ma anche più derivativa e potenzialmente vendibile, in quanto si sprecano i momenti in cui ci balenano in mente sprazzi di formazioni affermate come Behemoth, Watain e Keep Of Kalessin.
La sostanza è presente anche in questo caso, così come i pezzi potenzialmente vincenti, tra cui vogliamo citare la iniziale ed arrabbiatissima “The Womb Of Dreams”, la successiva ed ancora più tirata “Cycles Of Destruction”, in cui a spiccare è l’esecuzione simultanea con voce growl e pulita, e la più lunga “An Astral Portrait”, la cui natura ibrida e sferzante a base di derive oscure e frustate metalliche ci ha convinto per tutti e sei i minuti abbondanti di durata.
Il problema risiede nel fatto che la tracklist, nella sua interezza – pur senza difettare in carattere e/o di momenti fomentanti – tende a mancare di personalità man mano che la si ascolta, intanto per via della eccessiva somiglianza con altre proposte ad opera di colleghi illustri, ma anche banalmente se messa a confronto con quanto fatto nel lavoro precedente, in cui si notava una ricerca e un gusto melodico superiori alla media, con un risultato finale che ci aspettavamo sarebbe divenuto una sorta di standard su cui la band avrebbe potuto soffermarsi e lavorare. Persino gli inserti parlati presenti nel brano “Spectral Enigma” sembrano provenire da una qualsiasi delle recenti produzioni dei Behemoth, così come la conclusiva “The Poison Chalice” sembra rifarsi addirittura a determinate proposte pagan black; questo non è certo sgradevole, ma sicuramente nemmeno particolarmente accattivante, nel momento in cui si cerca un po’ di freschezza da una band che ha già dimostrato di saperne dare, seppur con le dovute note acerbe.
Decisamente più degna di lodi invece la produzione, che si rivela pulitissima e nel contempo impattante, con un’ottima valorizzazione di tutti gli elementi presenti all’interno dei brani, inclusi gli accostamenti vocali, i ruggiti delle chitarre e gli incalzanti stacchi di batteria; tutti elementi che non hanno nulla da invidiare a quelli partoriti dalle mani e dalla mente delle realtà ispiratrici.
Tutto sommato un buon lavoro, che però ci lascia un po’ di amaro in bocca, probabilmente per via delle aspettative derivate da quanto prodotto appena due anni fa, nonché dalla nostra convinzione di avere per le mani una formazione che avrebbe investito su determinate caratteristiche salienti, anziché metterle in secondo piano in favore di una deriva più ridondante e di consumo, già abbondantemente proposta, peraltro con risultati francamente più efficaci, da altri colleghi dalla nomea ormai stabile e solida all’interno del mercato. Ci auguriamo che in futuro la volontà degli Aran Angmar possa farsi più chiara, in quanto la nostra curiosità è sempre e comunque presente.