7.5
- Band: ARCA PROGJET
- Durata: 00:58:12
- Disponibile dal: 27/04/2018
- Etichetta:
- Jolly Roger Records
- Distributore: Goodfellas
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Interessante progetto quello messo in piedi da Alex Jorio (batterista degli Elektradrive) assieme al bassista/tastierista Gregorio Verdun. I due, dopo aver collaborato per anni, decidono di dare vita ad una nuova band, Arca Progjet, in compagnia di Sergio Toya alla voce, Carlo Maccaferri alla chitarra e Filippo Dagasso (tastiere e programmazione). La band intraprende dunque un viaggio all’insegna del progressive rock, invitando anche ospiti importanti come Gigi Venegoni e Arturo Vitali (Arti & Mestieri) e Mauro Pagani. Contrariamente alla maggior parte delle formazioni italiane di stampo prog, però, gli Arca Progjet non puntano lo sguardo alla florida scena degli anni Settanta, bensì alla decade successiva. Tutto l’album, infatti, ha un sound figlio degli anni Ottanta, capace di unire progressive, pop-rock, AOR e hard rock. L’album è estremamente vario: spazia e sperimenta, si lascia guidare dalle sue influenze, mescola le carte e il risultato è certamente degno di nota. Facendo un rapido excursus tra le canzoni, troviamo in apertura “Arca”, bel pezzo prog rock con un synth a guidare la melodia ed un pregevole intervento di sax a dare un tocco di classe; “Metà Morfosi” unisce tematiche tra Kafka e Cronenberg ad un impianto musicale tra pop e progressive, ricordando non tanto i Genesis più classici, quanto quelli di “Duke”; “Neanderthal” mostra delle aperture sinfoniche, per poi trasformarsi in un brano che, al netto della componente comica, potrebbe tranquillamente essere uscita dalla penna di Elio e Le Storie Tese. E che dire di “Sulla Verticale”, che si apre con tastiere liquide e quiete che ricordano album come “Fisiognomica” di Franco Battiato, per poi pescare direttamente dai Porcupine Tree, con quel basso insistente e martellante (“The Creator Has A Mastertape”). Ottima anche la componente melodica, che emerge preponderante in brani come “Delta Randevouz” o “Cielo Nero” (quest’ultima impreziosita da un bell’assolo di violino che, pur non avendone la certezza, supponiamo essere suonato da Mauro Pagani). Unico episodio negativo, a parere di chi vi scrive, “Requiend”, una rivisitazione pop-rock del bellissimo “Funeral Blues” di W. H. Auden che non convince né nella parte testuale né in quella musicale, decisamente fuori contesto. Tutto il resto, invece, si mantiene su standard elevati di qualità, che valorizzano le capacità e l’esperienza dei musicisti coinvolti. Non vi resta che salire sull’Arca e mettervi in viaggio nello spazio siderale verso mondi da (ri)scoprire.