6.5
- Band: ARCANE TALES
- Durata: 00:46:12
- Disponibile dal: 15/03/2022
- Etichetta:
- Broken Bones
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Approdato ormai alla definita (e forse definitiva) maturità, il progetto del polistrumentista Luigi Soranno si conferma come una piacevole realtà nel panorama power metal nostrano. Naturalmente si tratta di un tipo di musica che molto difficilmente può essere esente da scelte derivative (se non addirittura da vere e proprie formule di epigonismo): con certo power metal è dunque necessaria una sorta di parziale sospensione del giudizio, per sorvolare almeno un po’ sulla mancanza di originalità, concentrandosi invece su aspetti riguardanti il processo creativo e l’effetto generale che un album simile può suscitare.
Se si è assidui ascoltatori del power metal sinfonico, veloce e melodico, ci saranno tanti momenti quasi esaltanti in questo “Steel, Fire And Magic”. Ma forse questo è proprio uno dei problemi principali del progetto di Soranno: non può risultare davvero apprezzabile al di fuori della bolla degli ascoltatori di certo metal che ha avuto il suo apice tra fine anni Novanta e primi anni Zero.
I riferimenti principali in questo nuovo lavoro sono principalmente i Rhapsody post-“Dawn Of Victory” (quelli dove si tentavano strade compositive più cinematografiche e drammatiche, con parentesi aggressive più decise e frequenti), ma è anche molto presente certo ‘adventure metal’ che sembra raccogliere apprezzamenti tra le nuove generazioni – in progetti come i Twilight Force e Gloryhammer. Sin dagli esordi, inoltre, gli Arcane Tales sono sempre stati accostabili al progetto francese Fairytale – oltre ai classicissimi riferimenti che ogni band power metal ha in seno: dagli Helloween agli Stratovarius, dai Gamma Ray ai Blind Guardian.
In quest’ultima fatica c’è da sottolineare la presenza di molti miglioramenti da un punto di vista tecnico, specialmente per quanto riguarda quello che finora era stato il vero punto debole del progetto, cioè la voce: stavolta Soranno riesce a non risultare troppo fuori fuoco, offrendo una prestazione di buona qualità (anche se non si tratta di un cantante dalle doti eccezionali: cosa che in questo genere può raffreddare il risultato finale). Mentre, da un punto di vista compositivo, è piuttosto vistosa la scelta di rinunciare a ritornelli particolarmente memorabili, in favore di linee vocali e arrangiamenti più variegati e, talvolta, ricercati: da un lato un segno di maturità, ma dall’altro anche uno strappo rischioso nei confronti della tradizione del genere proposto.
In ultima analisi, si tratta di un album ben fatto, ben eseguito e ben prodotto, ma senza mai dei veri momenti di scuotimento. Tra i brani più interessanti è giusto segnalare l’energica “The Fires Of Hàrgathàn”, la classicissima e godibile “Wings Of The Storm”, e l’epica e quasi progressive titletrack. Per il resto si tratta di un lavoro buono, come già detto, per gli ascoltatori abituali di certe sonorità, ma davvero molto poco affine a chi frequenta generi differenti.