8.0
- Band: ARCH ENEMY
- Durata: 00:46:20
- Disponibile dal: 05/05/1998
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Self
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Secondo album per la band svedese capitanata da Michael Amott. Arriva a meno di due anni da un debutto che li ha portati immediatamente a destare l’attenzione del circuito underground e a raccogliere un inaspettato successo in terra giapponese. Davanti ad un avvio di carriera così incoraggiante era difficile immaginarsi che gli Arch Enemy potessero allontanarsi troppo dal sound basato sul perfetto equilibrio tra thrash-death e metal classico che aveva fatto le fortune dell’esordio, e infatti le coordinate stilistiche alla base di questo “Stigmata” sono sempre le stesse. La cosa importante, però, è che risulta chiara l’intenzione da parte del gruppo di sviluppare la proposta e di avviare un percorso di crescita, che si traduce in un suono maggiormente stratificato e corposo; le fondamenta sono sempre date da tese ritmiche thrash-death su cui regolarmente si sovrappongono ricami melodici di estrazione classic metal, ma, rispetto alla prova datata 1996, il platter presenta più cambi di tempo, più varietà di armonie, più ampiezza stilistica. Difficile parlare di prog, ma in ampi tratti “Stigmata” sembra a tutti gli effetti un “Black Earth” elevato all’ennesima potenza: un album in cui gli Arch Enemy provano ad ampliare il proprio ventaglio di soluzioni e a comporre brani più lunghi e strutturati, nei quali è possibile rintracciare sia attacchi molto serrati che rallentamenti mai così lugubri. Non a caso, la tracklist arriva a coprire oltre tre quarti d’ora, presentando più episodi che si attestano sui sei-sette minuti di durata. La scelta di non snaturarsi ma allo stesso tempo di provare ad essere un poco più ambiziosi si rivela azzeccata, essenzialmente per due motivi: il primo è proprio la buona capacità di gestire queste nuove soluzioni, grazie alla quale il disco riesce quasi sempre a suonare naturale e spontaneo; il secondo è un’ispirazione compositiva ancora egregia, che regala una serie di pezzi subito memorizzabili, nonostante la lunghezza. In verità, “Stigmata” si apre con una traccia diretta come “Beast of Man”, simile per impostazione a quanto contenuto nel debut, tuttavia episodi come “Dark of the Sun” e “Black Earth” (strana la scelta di dare al pezzo lo stesso titolo del disco precedente) non tardano a mettere in mostra la nuova vena degli Arch Enemy, qui particolarmente fissati con break, ripartenze e una continua voglia di mettersi in gioco. Tutto sommato, vista anche la continua presenza di assoli chitarristici di notevole caratura, si può affermare che la band tenda un po’ a pavoneggiarsi, ma è altrettanto vero che tali orpelli non arrivano mai a minare completamente l’impatto dei riff portanti e delle ritmiche. Sotto quest’ultimo punto di vista, va segnalato l’importante apporto del nuovo batterista Peter Wildoer (Darkane) – davvero ficcante anche ai piatti – mentre l’unico elemento che sostanzialmente risulta invariato rispetto al debut è il growling di Johan Liiva, sempre molto brusco e uniforme. L’abbinamento tra le formule dell’esordio e delle strutture più elaborate si traduce comunque in una raccolta di canzoni dalla qualità più omogenea, per un album completo, cupo e dall’atmosfera avvolgente. Un pezzo come “Bridge of Destiny” raggiunge vette espressive sin qui mai toccate dal gruppo e, in generale, per Michael Amott e compagni si può parlare di uno stile e di una maturità ormai definiti.