6.0
- Band: ARCHVILE KING
- Durata: 00:34:36
- Disponibile dal: 18/02/2022
- Etichetta:
- Les Acteurs De L'Ombre Productions
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Un’altra one-man band, nello specifico francese. Archvile King è il progetto di Nicolas ‘Baurus’ M., polistrumentista di Nantes, che ha esordito con un l’EP “Vile” a fine 2020. Tra le caratteristiche di quel dischetto ci sono brani che uniscono thrash, black e death e un’attitudine in parte grottesca e ironica, che si concretizza nel brano di chiusura “Gwyneth Paltrow Is A Lich” (ovvero una creatura non-morta, dotata di particolari poteri ottenuti attraverso la magia nera, come Dungeons & Dragons insegna).
Ma veniamo a questo full-length: le atmosfere sono più cupe e il peso specifico dell’elemento black metal è aumentato di parecchio, mettendo decisamente in secondo piano le influenze thrash grezze e selvagge, screziate di death metal, che erano in precedenza preponderanti, in particolare nella prima metà del mini-album. Questa volta, inoltre, Baurus abbandona completamente l’inglese in favore della sua lingua madre, il francese, scelta apprezzabile in termini di personalità; unica eccezione, la traccia bonus “Cheating The Hangman”, che conserva una struttura di matrice thrash, nerissima ma sicuramente più leggera rispetto al resto del lavoro, e che probabilmente è antecedente alle altre composizioni.
Al di là di questo episodio, il disco si presenta abbastanza organico a livello di suoni ed atmosfere: “Chroniques Du Royaume Avili” si apre con una voce narrante femminile che ci introduce in quella che sembra essere una Francia di epoca medievale (non bene definita) e decisamente violenta, come testimonia subito il breve assalto sonoro “Mangez Vos Morts”, che fa riferimento alla peste come sciagura originata dai vizi e le lordure morali degli uomini, e perciò evento quasi inevitabile. Rispetto al (recente) passato, il songwriting è più elaborato e viene dato maggior spazio alla melodia, creando momenti non privi di un buon grado di epicità, come testimoniano “Dans La Forteresse Du Roi Des Vers” e “L’Artisan”, mentre qualche momento non sembra essere completamente riuscito e a fuoco (pensiamo a “Vêpre I”, con le sue marcate influenze post-black). Curiosamente, la titletrack è una breve strumentale semi-acustica, piacevole ma che non aggiunge niente di particolare ad un lavoro che soffre di alti e bassi e appare a tratti un po’ incerto e acerbo, nonostante alcune buone idee a livello di riff e una prova vocale convincente, in grado di alternare stili e timbri differenti. Forse è un album ‘di transizione’ verso un sound più complesso e personale, ma per il momento non ci siamo ancora completamente.