ARCTURUS – La Masquerade Infernale

Pubblicato il 11/03/2021 da
voto
9.0
  • Band: ARCTURUS
  • Durata: 00:45:12
  • Disponibile dal: 27/10/1997
  • Etichetta:
  • Music For Nations
  • Distributore: Audioglobe

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Il termine avantgarde black metal, che utilizziamo quotidianamente per definire forme musicali che partono dalla Fiamma Nera per arrivare a qualcosa di più complesso, è ormai di uso comune e, pur nel suo significato generico, indirizza il lettore verso un certo tipo di sonorità. Per forza di cose, però, non poteva essere lo stesso nel 1997: la nascita del black metal si poteva far risalire a qualche anno prima, ma gli stilemi che lo contraddistinguevano erano ancora legati alle sue origini, quindi ad un suono grezzo e sporco e ad una produzione minimale. Certo, sul concetto abbastanza vago di avantgarde si potrebbe discutere per giorni: questo termine, usato probabilmente a posteriori, si può scomodare per dischi come “Into The Pandemonium” o, per rimanere in Norvegia, “In The Nightside Eclipse”, pubblicati ben prima dell’opera che tratteremo in quest’articolo, ma appare innegabile che “La Masquerade Infernale” sia un album del tutto differente da tutto quello che stava uscendo in contemporanea. Ma chi erano gli Arcturus nel 1997?
Formatisi nel 1991, erano una band che aveva alle spalle un EP (“Constellation” del 1994) e un full-length (“Aspera Hiems Symfonia” del 1996) che i puristi considerano ancora oggi l’apice della loro produzione, ma soprattutto erano un insieme di personalità dalla portata gigantesca: gente che ha/aveva militato in band già allora seminali quali Ulver, Mayhem, Ved Buens Ende, Covenant. Due musicisti in particolare sembrano aver marchiato a fuoco il disco ed ambedue, non a caso, hanno dimostrato negli anni seguenti di possedere quell’ecletticità di cui “La Masquerade Infernale” potrebbe essere stato il primo segnale: Kristoffer Rygg, aka Garm, che con i già citati Ulver aveva dato prova di quanto sapesse uscire dagli schemi (si pensi all’acustico “Kveldssanger”) e Jan Axel Blomberg, aka Hellhammer, batterista di tantissime band che vanno dal black metal primigenio ai progster Winds; ma anche gli altri membri della line-up ed il nutrito stuolo di ospiti sono personaggi di livello assoluto, tanto che possiamo affermare che la formazione che ha registrato questo album sia una sorta di selezione all-star della scena norvegese. Incuranti delle critiche che un passo del genere avrebbe potuto generare, i Nostri hanno plasmato una materia che, pur avendo per atmosfere e tematiche le radici ben salde nel black metal, se ne allontana prendendo molteplici direzioni, tanto che “Aspera Hiems Symfonia” è solamente dell’anno precedente ma sembra stato composto un secolo prima; in particolare il prog e la classica sembrano essere i nuovi elementi basilari: potremmo chiamarlo ‘black metal meets opera’, ma anche ciò non renderebbe bene l’idea. La voce di Garm non è più lo scream tagliente del passato ma è pulita e declamatoria in un senso, appunto, operistico; le tastiere sono fondamentali nell’economia del suono; la produzione da lo-fi si trasforma in cristallina; i ritmi da forsennati diventano ragionati. Eppure si respira un’aria malvagia e malsana come e forse più di prima.
L’incubo ha inizio con “Master Of Disguise” e si capisce subito che la band vuole rompere con il passato e colpire l’ascoltatore, fin dalle fasi iniziali, con qualcosa di nuovo e sperimentale: una breve introduzione di tastiere infernali apre la Mascherata, con la voce di Garm che prima è un sussurro luciferino e poi si esprime in tutta la sua potenza, e si biforca in quello che appare un vero e proprio sdoppiamento della personalità, introducendo il non meglio definito personaggio che sarà il protagonista di tutta la storia, il ‘maestro del travestimento’ (“He appears your friend, but / the Saint hides many Satans“): una sorta di introduzione alla follia, un delirio in cui tastiere e batteria si rincorrono tra effetti e suoni provenienti da un altro mondo. Non meno sinistramente stramba è la successiva “Ad Astra”: un mix di suoni che vanno dal western al mediorientale, fino all’ambient, strumenti come violino, contrabbasso, viole, violoncello, pianoforte; e, incredibilmente, questo miscuglio funziona alla perfezione, in un pezzo che per più di metà è strumentale e pare una boccata d’ossigeno infarcita di oscura melodia e che, a tratti e a suo modo, appare struggente. Si cambia registro con “The Chaos Path”, caratterizzata dalla voce teatrale dell’ospite ICS Vortex (in seguito membro della band in pianta stabile): caotica come suggerisce il titolo, questa è una corsa in cui, ancora una volta, strumenti classici vengono utilizzati per ottenere un effetto straniante, mentre nella parte centrale si hanno i suoni più duri dell’album; il testo è farneticante, ai limiti del nonsense. La titletrack, posta esattamente a metà dell’opera, è un breve ed atmosferico intermezzo strumentale, basato sostanzialmente su un ipnotico loop di pianoforte, che si ripete per un paio di minuti senza troppe variazioni, creando un’atmosfera stagnante. “Alone” è un’esplosione, in un certo senso il pezzo più lineare del lotto, un prog rock robusto contrassegnato da un riff di chitarra notevole, con svolazzi di tastiera che sembrano fare da contrasto: il testo è ispirato ad un poema di Edgar Allan Poe, e si sente: un inno alla solitudine vista come condanna, da accettare con cupa rassegnazione (“From childhood’s hour I have not been / As others were – I have not seen / As others saw“). Anche “The Throne Of Tragedy” ha radici letterarie, essendo uno scritto dell’autore Jørn Henrik Sværen dedicato proprio a Garm: il rumore delle onde ed una spaventosa voce filtrata fungono da introduzione ad una cavalcata epica e magniloquente, che assume un tono sempre più drammatico con l’avanzare delle strofe, e che sembra narrare la tragedia insita nella natura umana (“A nameless lie / Who, my god / Am I?”). “Painting My Horror” è il pezzo con la struttura ed i suoni più classici, perlomeno ad un primo ascolto, anche se pur sempre oppressivo e a tratti grottesco, ed è la voce ad essere protagonista, quasi volesse letteralmente ‘dipingere l’orrore’ e la pazzia che si trovano nel subconscio del protagonista. La chiusura è affidata a “Of Nails And Sinners”, un altro brano stralunato, con Garm sugli scudi in una tonalità molto bassa ed Hellhammer insolitamente delicato e dal tocco quasi jazz; il finale, blasfemo e non troppo interpretabile, sembra rivelare l’identità del protagonista di questa tormentata vicenda: “They grow passionate on a lie / But you know the voracious one was I“.
“La Masquerade Infernale”, da qualsiasi angolazione la si voglia osservare, è sicuramente un’opera che ha segnato i confini nel suo genere, tra chi la critica in quanto simbolo della fine della purezza black e chi invece la osanna per l’originalità ed il coraggio. Da qui in poi gli Arcturus continueranno per la loro strada fino ai nostri giorni, con protagonisti di volta in volta differenti ma sempre di alto lignaggio, pubblicando album qualitativamente indiscutibili, ma che mai più hanno raggiunto la valenza storica di questo disco.

TRACKLIST

  1. Master Of Disguise
  2. Ad Astra
  3. The Chaos Path
  4. La Masquerade Infernale
  5. Alone
  6. The Throne Of Tragedy
  7. Painting My Horror
  8. Of Nails And Sinners
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