7.0
- Band: ARDITYON
- Durata: 00:42:22
- Disponibile dal: 28/02/2025
- Etichetta:
- Underground Symphony
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A sei anni di distanza dall’omonimo esordio, tornano in azione gli Ardityon, terzetto veneto attivo dal 2018 e dedito alle sonorità più heavy/power, dove melodia e rocciosità vanno copiosamente a braccetto. Elementi chiave presentati nell’album di debutto che, nel qui presente “Trenchslayer”, sono stati nuovamente certificati, completando così un lavoro compatto, discretamente dinamico, fondato su una profonda riflessione, per nulla positiva, sulla tecnologie e sul loro impatto nella società moderna.
Entrando nei dettagli del disco, si fa notare ancora una volta, oltre al batterista e fondatore Denis Novello, il cantante Valeriano De Zordo, il cui timbro vocale, strizzando l’occhio a quello di un certo Fabio Lione, ha donato sicurezza e calorosità ai vari brani, costruendo attorno ad essi episodi ricchi di energia e fascino malinconico. Non solo: se da una parte i riff imbastiti dal chitarrista Andrea Colusso hanno garantito la matrice più classica della proposta globale (si ascoltino a tal proposito “Spirit Of Fire” e “Toxic Show”), dall’altra, la “chiamata alle armi” di Mattia Gossetti, già protagonista con gli stessi Novello e De Zordo negli Agarthic e qui nelle vesti di ospite, ha portato in sede di arrangiamento una deliziosa vena orchestrale e sinfonica, andando così ad abbellire con un tocco di modernità l’intero impianto strumentale.
Abbinamento perfetto il cui potenziale si manifesta immediato nell’opener “Subhuman World”, uno dei brani più rappresentativi dell’intero disco, dove le caratteristiche sopra citate mettono in mostra anche il lato più tecnico dei musicisti, posando così il tassello numero uno per una prima parte di album sicuramente più efficace. Dalla successiva “Everything Is Lost” alla title-track si alternano infatti episodi conditi da armonia e aggressività (la stessa “Trenchslayer”), impreziositi da inserti prog (proprio “Spirit Of Fire”) fino alla sventagliata thrash di “The Livestock”, nella quale un refrain più arioso ristabilisce l’equilibrio stilistico.
Meno impattante invece è la seconda metà dell’album, dove manca forse un piglio di varietà al canovaccio esposto in precedenza, nonostante la ballad conclusiva, “I’m With You”, vada a mettere la firma ad un quadro tutto sommato esaustivo. Tradizionali ma non troppo, granitici al punto giusto, gli Ardityon hanno piazzato una seconda mattonella alla propria fortezza heavy-power.