8.0
- Band: ARENA
- Durata: 00:55:59
- Disponibile dal: 28/11/2011
- Etichetta:
- Verglas
Spotify:
Apple Music:
Dati per scomparsi all’indomani del precedente “Pepper’s Ghost” del 2005, gli Arena ricompaiono sul finire del corrente 2011 con la loro settima fatica “The Seventh Degree Of Separation”, dimostrandoci in un sol colpo che i sei anni trascorsi non hanno tolto loro un briciolo della superba classe e dell’eleganza che contraddistingueva il loro prog/rock dalle tinte metal e che, fortunatamente, a volte l’attesa del disco di una band che si ama viene ricompensata nel migliore dei modi. Accantonata la proposta di titolo precedente (da anni si vociferava che il disco si sarebbe intitolato “The Tinder Box”), la band opta per il più ermetico “The Seventh Degree Of Separation” e ci presenta così un altro concept, stavolta basato sul sempre ostico tema della morte, raccontando tramite le parole del protagonista l’ultima ora prima del trapasso e la prima ora seguente l’avvenuta separazione dal proprio corpo. Come sempre, l’autore e sceneggiatore di questo drammatico copione è l’eclettico tastierista Clive Nolan, dalla cui penna magica escono linee e linee di testi ispirati, meditativi e drammatici, che si fondono in maniera perfetta con la maestosa sezione strumentale e la bella voce del nuovo cantante Manzi, chiamato a raccogliere le armi del dimissionario Sowden. Il risultato è un bellissimo esempio di prog moderno e di classe, guidato dalle melodie e dalle atmosfere più che dai ritmi o dai riff, ed arricchito da una chitarra che lavora maggiormente di cesello, risultando più importante nell’economia di ogni canzone grazie al suo elegante lavoro di rifinitura tramite assoli e arpeggi piuttosto che come mero motore ritmico. Le tastiere di Nolan compiono il resto del lavoro, donando ad ogni canzone una giusta dimensione a cavallo tra concretezza elettrica e l’emozionalità creata da suoni più rarefatti, con il risultato di creare un disco che più che ascoltato con attenzione maniacale va solo lasciato scorrere, facendosi trascinare dalle suggestioni create dai cinque musicisti. La caratteristica vincente di “The Seventh Degree Of Separation” risulta proprio questa: la capacità da parte del songwriter e degli strumentisti di creare un’atmosfera cangiante e morbida, avvolgente grazie ai suoni pomposi di tastiera ma pur sempre caratterizzata da una decisa presenza elettrica di fondo, base perfetta per gli eleganti arabeschi intessuti dalla chitarra di Mitchell e per le bellissime melodie che Manzi interpreta con piglio sicuro e sentito. Manzi stesso, peraltro, è un ulteriore motivo di stupore per noi: delusi dalla decisione di Sowden (amatissimo dai fan della band) di allontanarsi dagli Arena, temevamo un po’ l’ingresso di un cantante che non sapesse replicarne la timbrica calda e suadente; con Manzi troviamo non un clone ma un cantante dotato di una timbrica diversa, più acuta, ma che con Sowden condivide la medesima classe sulle melodie più ragionate, e che si mostra in definitiva autore di una prestazione che sinceramente ci stupisce e ci strappa più di un applauso. Un disco che rappresenta una buona occasione per chi non conosce gli Arena di avvicinarsi al loro mondo, ma che acquista un valore maggiore se già si era fan della band inglese. A coloro che già amavano questa band e non aspettavano altro che un loro disco, Nolan non poteva davvero fare un regalo migliore. Bentornati Arena.