8.0
- Band: ARKA'N ASRAFOKOR
- Durata: 00:45:34
- Disponibile dal: 24/05/2024
- Etichetta:
- Reigning Phoenix Music
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Ciclicamente, nella storia del metal tutto, ci sono stati periodi in cui particolari scene, o ancor meglio particolari band, provenienti dalle più remote parti del globo, hanno trovato le congiunzioni astrali giuste, le alchimie perfette, i momenti più propizi per venire allo scoperto e, nel loro piccolo, fare un proprio ‘botto’. E’ innegabile che, d’altra parte, il continente probabilmente più penalizzato in assoluto dal suo essere logisticamente arretrato, affinchè si sviluppi una solida fanbase metallica che segua una o più entità locali, sia l’Africa, soprattutto se ci riferiamo a quella sub-sahariana, quella più nera, dove certo la sopravvivenza di una scena metal di qualsiasi tipo arriva in terzo, quarto o quinto piano rispetto a diversi tipi, ben più sostanziali, di sopravvivenze.
Ci troviamo oggi, dunque, con una bella dose di stupore e sorpresa, a trattare il secondo disco di questi Arka’n Asrafokor, compagine dal nome improbabile che proviene da Lomé, capitale del Togo (per i meno ferrati in geografia uno stato dell’Africa occidentale, ex colonia francese, compreso tra il Golfo di Guinea, il Ghana, il Benin e il Burkina Faso). Non siamo qui ovviamente per sostituire Wikipedia, ma un pochetto di colore e contesto ci viene automatico fornirlo, in un’occasione in cui la musica proposta è davvero insita nel sostrato di una popolazione, di un paese, addirittura di un continente, nonostante la vastità dell’Africa renda impossibile definirne un suono unico e rappresentativo di tutta la sua enorme varietà.
Noti in partenza solo come Arka’n, i cinque togolesi hanno debuttato nel 2019 con “Zã Keli”, esordio davvero piacevole ed iconico, che già ha permesso ai Nostri di iniziare a far girare il loro nome anche al di fuori della loro terra. La band è guidata dall’istrionico e genuinamente geniale Rock Ahavi, voce e chitarra, che si avvale di suo fratello Enrico come contraltare vocale, compresi alcuni estratti rap/hip-hop, percussionista e tastierista; completano la formazione il preciso bassista Francis Amevo, il batterista Richard Siko ed il fenomenale percussionista e voce pulita Mass Aholou.
Il genere che propongono gli Arka’n Asrafokor è per forza vagamente rètro e diciamo pure che, se fossero usciti nei primi anni 2000, saremmo qui ad osannarli – o a ricordarli con nostalgia, dipende – da più di vent’anni. Rock, folk, musica tribale, thrash metal, groove metal, metal tecnico e imprevedibile, canzoni emozionali, voci etniche e sempre cangianti: il sound degli Arka’n Asrafokor ha il suo piccolo grande segreto proprio qui, nell’essere sì antico e pregno di storia, ma allo stesso tempo in grado di risultare tremendamente dinamico, freschissimo e coinvolgente; alle nostre orecchie, seppur allenate all’ascolto di svariati tipi di musica e di metal, risulta per forza qualcosa di nuovo o comunque di innovativo, sebbene in passato si possano riscontrare diversi esempi di musica tribale e percussiva associata al metal estremo, basti ricordare i Sepultura di “Roots” e gli amici/nemici Soulfly, gli Ill Nino, i venezuelani Laberinto, i Dub War, permettendoci anche di citare – perchè no? – gli Slipknot, con la loro dirompente e folle furia percussiva.
Troviamo poi sprazzi di Gojira e Meshuggah a rendere più moderno lo stile del quintetto, che rispetto al primo disco si è imbastardito e indurito, lasciandosi dietro le influenze meno metalliche – che fossero blues, rock o folcloristiche – e sostituendole con corpose sezioni di thrash metal e techno-thrash, quasi a voler aumentare allo spasimo la dicotomia tra la modernità dei riff di chitarra e della sezione ritmica e l’enfasi ancestrale portata dallo strabordare di linee vocali afro – ed etno-oriented.
La tracklist, dunque, segue di pari passo tale citata dicotomia, alternando spesso e volentieri canzoni più aggressive a brani dal tono leggermente più pacato, sempre mantenendo alta però la tensione e una innata curiosità che porta in breve tempo al desiderio impellente di scoprire cosa succederà, in “Dzikkuh”, questo il titolo del secondo disco dei Nostri, di lì a breve.
Chiudendo le danze con le note più soffuse da semiballata dell’ultima “The Calling”, spetta perciò, ad esempio, all’accoppiata “Not Getting In Line”/”Angry God Of Earth” dare una vigorosa sterzata thrash-groove al compendio di tracce, con la prima dotata di un ottimo solo di chitarra guidante una notevole accelerazione; oppure tocca a “Final Tournament” e alla seguente “Still Believe” farci capire come, all’interno di un singolo episodio, la band sia grandemente capace di inserire tutto il proprio scibile musicale senza far stonare e stridere nulla; per poi trovarsi, infine, di fronte ai tre brani migliori del disco, ovvero i magnifici estratti video “Walk With Us” e “The Truth” e il vorticoso collage etno-metallico “Asrafo”.
Inutile sottolinearvi, a questo punto, come “Dzikkuh” degli Arka’n Asrafokor sia un lavoro da andarsi assolutamente ad ascoltare, sia che siate semplicemente curiosi di documentarvi su come possa suonare una band heavy metal africana nel 2024, sia che siate alla ricerca di qualcosa di nuovo o ‘ancora poco udito’ in giro. Difficile ve ne possiate pentire, davvero.