6.5
- Band: ARKONA
- Durata: 01:07:52
- Disponibile dal: 25/04/2014
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
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Settimo sigillo per i russi Arkona, divenuti ormai una delle realtà più presenti sulla scena pagan metal europea. L’importanza della band è cresciuta in modo costante nel tempo, grazie alle loro atmosfere tipiche dell’Europa orientale e ad una più che discreta bravura dei suoni musicisti, su tutti la leader cantante/tastierista Masha “Scream” Arkhipova. Il nuovo album si apre subito in modo sorprendente perché “Zarozhdenie” è un brano che spiazzerà più di qualche fan della band. Dopo una sorta di inizio che lascia presagire ad un mood sciamanico e mistico, si passa ben presto ad un songwriting influenzato dal progressive metal e di evocativo rimane solo il cantato di Masha “Scream”. Il brano non è da disprezzare, ma è poco immediato e pertanto forse non andava messo in apertura di release, mentre già con il brano successivo la musica cambia: qui il ritmo è veloce, vi troviamo venature black metal ma anche rallentamenti piuttosto orecchiabili; in questo caso specifico gli Arkona ricordano lontanamente i grandissimi Thyrfing di “Farsotstider”, con la differenza che qui i ritornelli hanno la voce pulita femminile ad addolcire il tutto. Forse l’uso del cantato pulito in questo modo crea involontariamente delle atmosfere più gothic che pagan metal. Su questo album vengono sperimentati dei synth dai suoni moderni, ma la scelta non va incoraggiata perché in questo modo gli Arkona perdono molto della loro ‘etnicità’ e peculiarità, senza contare che il pagan metal mal si fonde con atmosfere e suoni moderni più adatti ad una giovane gothic metal band. Complessivamente i brani sono troppo lunghi, così come la durata del CD… sarebbe stato meglio togliere una decina di minuti tagliando qua e là noiose ripetizioni. Si vede in ogni caso che la band è cresciuta e continua a crescere, e che ora è capace di scrivere canzoni molto più ricche, ma c’è il rischio che il trademark venga snaturato. Per fortuna ci pensa l’ottima “Serbia” a riportare il gruppo nel proprio habitat sonoro naturale: il brano è carico di pathos, riesce ad essere malinconico, sofferto, ma anche incredibilmente epico: quando gli Arkona parlano dei popoli o delle terre dell’Europa orientale ne esce sempre qualcosa di notevole. Ci sono parti influenzate dal black metal come sull’inizio veloce e violento di “Zov Pustyh Deveren”, ma non mancano nemmeno gli elementi folk grazie all’utilizzo di cornamuse e violini. Oltre all’opener, vera grande sperimentazione attuata dal gruppo, negli altri sporadici momenti prog si può pensare che la band si sia ispirata persino ai Jethro Tull. Con “Gorod Snov” si ritorna alla tradizione pagan metal carica di energia alla quale gli Arkona hanno abituato i propri fan nel corso degli anni. “Vedma” è finalmente un bel brano pagan metal con ritmo, enfasi, coinvolgimento ed un tocco folk che non trasforma il brano in una ballad, il che ci ricorda che gli Arkona quando vogliono sono un ottimo gruppo pagan metal, forse uno dei migliori attualmente in circolazione. Peccato che a questo ottimo esempio di musica epica segua quella che forse è la peggior canzone dell’album: “Chado Indigo”. L’album cala senza troppi sussulti e complessivamente non convince completamente perché è un po’ troppo eterogeneo, nonostante le innovazioni del sound non siano rivoluzionarie. Qualcosa alla fine non torna, la band sa fare di meglio e questo è il pensiero che accompagna l’ascoltatore fino alla fine di questi quasi settanta minuti di musica.