8.0
- Band: ARMORY
- Durata: 00:41:59
- Disponibile dal: 19/08/2016
- Etichetta:
- High Roller Records
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Ci sono dischi che puzzano di metal più degli altri. Capaci di spiegare in poche note l’essenza del genere, con disarmante facilità. Aderiscono a una sua idea pura e incorruttibile, sono plasmati a immagine e somiglianza dell’archetipo di suono che nelle nostre teste associamo immediatamente al termine ‘heavy metal’. Album che pompano adrenalina, danno vigore, coraggio, rabbia ed energia in quantità pressoché infinite. “World Peace… Cosmic War” è proprio questo, una raccolta di hit del 1985 trasportate dalla macchina del tempo (nella musica esiste, tranquilli) nel 2016, pronte per essere sfracellate sul finire dell’estate nelle orecchie dei metaller tradizionalisti. Etichettare gli Armory come semplici ragazzini nostalgici, seguaci della nuova via del metal scandinavo di Enforcer e Steelwing, sarebbe leggermente fuorviante, ci sembra più opportuno accostarli ai canadesi Striker, tornado capace di frullare assieme thrash, speed, classic e hair metal in un composto nucleare di suoni vintage dannatamente catchy. La copertina naïf ci aveva fatto ben sperare, l’intro di rumori provenienti da una navicella spaziale anche, ma poteva trattarsi di abile maquillage per nascondere vizi da acerbi esordienti carichi a mille e poco abili con gli strumenti in mano. L’attacco di “Cosmic War” fuga ogni dubbio e fa trapelare un misto di sconcerto e incredulità: intrecci alla primi Iron Maiden e ritmiche allegramente svolazzanti alla primi Helloween – sì, proprio quelli del primo EP e di “Walls Of Jericho” – smantellano il palinsesto di pregiudizi del recensore e lo lasciano annegare in un benedetto brodo di giuggiole. Passato l’entusiasmo bambinesco, ci si accorge che c’è vera sostanza qua dentro: le chitarre sviscerano, dotte e fumiganti, il songbook del miglior power europeo e americano di prima metà anni ’80, la voce squilla e aggredisce, la sezione ritmica viaggia a mille all’ora e non si impappina negli stacchi o nelle parentesi più cadenzate. Quando nel refrain la voce sfuma in una nota altissima spacca-cristalli, ormai siamo prigionieri del verbo Armory. “High Speed Death” e “Hell’s Fast Blades” induriscono il suono e fanno entrare in pompa magna il primo thrash americano nell’incendiario calderone, le vocals si inaspriscono, le sei corde si chiudono in un muro arcigno che ricorda tanto gli Slayer di “Show No Mercy” quanto i Judas Priest più sparati. Il relativo disordine strutturale, impulsivo ma ben controllato, volge lo sguardo ai migliori Exciter ed Agent Steel, con questi ultimi a trapelare spesso e volentieri grazie anche al simile concept sci-fi sottostante. All’ottima “Spinning Towards Doom” il compito di raccordare a tutta velocità il terremotante avvio alla delirante chiusura di quello che su vinile sarebbe il lato A. “Without Days, Without Years” si apre in modo clamoroso, trivellante come i Riot di “Thundersteel”, un incalzare sempre più esaltante di riff cromati e dall’hook melodico irresistibile, cavalcati da un Konstapel P che per scelte tonali e metriche sembra il Joel Dubay di “Absolute Power” incrociato al James Rivera meno estremo. Un chorus incredibile e fiumane soliste che fanno convivere i duelli gemellari maideniani e gli incroci priestiani confezionano uno dei pezzi-must del 2016. Ma non è finita qui: il lato B non lascia morire la dirompenza della prima metà e ci consegna in “Artificial Slavery” uno sferragliare power/thrash evocante gli Helloween di una “Cry For Freedom”, il thrash melodico statunitense di fine eighties, il ‘fischiettare’ dei solos di “Iron Maiden” e “Killers”, oltre alla frenesia dei Target belgi. Esasperando ulteriormente i ritmi e puntando allo scompiglio generale, eccoci a una specie di rivisitazione del riff di “Charlotte The Harlot” a 45 giri, infusa nello speed/thrash. Trattasi di “Phantom Warrior”, felicemente isterica, controcori maschi a spingere il singer in un ritornello da capogiro, dentro tre minuti di adrenalina a pioggia e rasoiate speed di prima categoria: vi troverete a cantarla in giro a squarciagola, fregandovene di dove siate in quel momento! Arriva una leggera normalizzazione con la breve “Final Breath”, in ogni caso tutt’altro che scadente, prima del gran finale di “Space Marauders”. Una suite scintillante, velocissima e speziata di assoli uno più bello dell’altro, che mantiene la foga esecutiva e la propensione a scrivere inni della formazione, ma impreziosisce queste doti con una ricchezza di atmosfere e situazioni che di questi tempi, in ambito classic metal, sono merce rarissima. Rimaniamo meravigliati dalla cognizione di causa e dal talento della band nel realizzare pezzi così emozionanti, ben lontani dal ruffiano old-school molto in voga nel pianeta metal di questi tempi. Basta lamentarsi che non c’è più in giro l’heavy metal di una volta, “World Peace… Cosmic War” vi dimostra esattamente il contrario.