7.5
- Band: ÁRSTÍÐIR LÍFSINS
- Durata: 1:09:54
- Disponibile dal: 26/04/2019
- Etichetta:
- Van Records
- Distributore: Audioglobe
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Sarà la combo ghiacciai-geyser a distillare nella mente dei suoi abitanti scintille assurde ed ai limiti dell’eclettismo, ma che la minuscola Islanda sia da qualche tempo un calderone di ottime proposte in ambito metal è oramai cosa risaputa.
Gli Arstidir Lifsins (non esattamente il nome più facile da ricordare o scrivere) si inseriscono perfettamente in questo filone e, complice l’egida della sempre attenta Vàn Records, rilasciano un quarto album assai ispirato e suggestivo. “Saga á tveim tungum I: Vápn ok viðr” musica le vicende di undicesimo secolo di re Óláfr Haraldsson II di Norvegia, così come narrate dall’epica vernacolare scandinava, lasciando che siano le asprezze del black metal, insieme con le parti più ‘folk’, a raccontarci storie lontane (nel tempo e nello spazio). Vista l’impossibilità per i più di scalfire la muraglia linguistica a guardia dei testi, concentriamoci sulla musica: solido, quadrato ed affiatato, il trio tedesco-islandese si addentra nelle asperità black più care a gente come Mgła o i conterranei Svartidauði – muraglie di chitarre ruvide, batteria cadenzata e tiratissima (“Haldi oss frá eldi, eilífr skapa deilir” con la batteria che oscilla tra cavalcate furiose e rallentamenti doomeggianti), come per esempio in “Líf á milli hveinandi bloðkerta”, una delle perle del disco a parere di chi scrive – senza però disdegnare litanie baritonali e cori meditativi Batushka o Schammasch-style (“Siðar heilags brá sólar ljósi”), partiture acustiche eseguite con strumenti tradizionali e raccolte e sentori atmosferici adeguatamente inseriti nelle nove tracce del full-length, in grado di restituire panorami gelidi, echi di battaglie perdute. Ma al di là di paragoni e rimandi, ciò che resta alla fine dell’oretta abbondante di ascolto è un prodotto valido, con pochissime sbavature e una produzione degnissima, figlia del felice (in questo caso) connubio tra il metal più nero e abrasivo e le sue derive ambient quasi ‘sciamaniche’ tanto care ad un certo filone di musica pagana; il lavoro di chitarra e basso è rifinito e stratificato, il contrappunto e la costruzione dei vari livelli vocali è mirabile, con tutti e tre i musicisti impegnati a cantare in differenti toni – dallo screaming più abrasivo allo storytelling baritonale.
Ascoltate, riascoltate e lasciatelo crescere.