7.0
- Band: ARTHEMIS
- Durata: 00:46:07
- Disponibile dal: 27/08/2012
- Etichetta:
- Off Yer Rocka
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Prosegue il percorso stilistico degli Arthemis, band dalle origini veronesi capitanata dal chitarrista e fondatore Andrea Martongelli. Un percorso oramai completamente diverso dagli inizi, sia a livello di line-up (della formazione originale targata 1994 resta il solo Martongelli) che a livello di songwriting, che si è spostato sensibilmente dal power metal di stampo europeo degli esordi, che seguiva la scia delle band che sfondavano in quel momento (Labyrinth, i vecchi Rhapsody), ad una decisamente più rocciosa e squadrata proposta fatta di una consistente base di heavy metal classico, sulla vengono poi montate memorizzabili melodie vocali e un massiccio riffing di estrazione thrash. Musica più ortodossa, dunque, ancorata ad un sottobosco metallico che vede proliferare più Rage e Mesmerize che non Sonata Arctica e Stratovarius; musica decisamente più diretta e ‘in your face’ rispetto ai più ‘leggerini’ primi album degli esordi. Seguendo dunque un percorso non tanto di estremizzazione del suono quanto proprio di migrazione verso sonorità più cupe ed incazzate, gli Arthemis attuali si trovano in una posizione probabilmente fortemente voluta, ma al contempo anche scomoda: quella di aver forgiato un sound finalmente personale al 100% (in prima battuta ci vengono in mente solo Bejelit e Hollow Haze come più vicina pietra di paragone) senza però essere ancora riusciti veramente a sfondare nella propria madre patria. E, lo diciamo subito in onestà, anche questo disco, per quanto personalmente ci sia piaciuto, non sarà quello della effettiva consacrazione. Sicuramente piacerà a coloro che adorano già la band, che potrebbero anche considerarlo come il capitolo migliore della band stessa; ma è anche indubbio che alcune piccole tracce delle incertezze che impedivano il decollo anche agli altri dischi siano ancora presenti. La voce di Fabio D., ad esempio, è fin troppo presente sui pezzi, cosa che considerata la timbrica acuta e l’impostazione a sirena alla lunga finisce per stancare, e anche la sezione ritmica, terremotante e precisa come richiede il genere risulta un po’ sotto-prodotta rispetto all’esplosivo suono delle chitarre. Piccoli difetti che anche se non inficiano più che tanto l’ascolto globale dell’album i quale, lo ripetiamo, si conferma comunque godibilissimo, comunque non permettono ancora di confermare gli Arthemis come band leader di questo sottogenere del power. Nonostante ciò è doveroso da parte nostra dare a Cesare ciò che è di Cesare: l’opener “Empire”, che segue a ruota l’intro “Apocalyptic Nightmare”, è uno splendido esempio di power metal sporcato di thrash con ritmiche al fulmicotone e cantato incisivo anche se un po’ monocorde, la successiva “We Fight” ci porta poi di peso con le menti sotto un immaginario palco, con i pugni alzati a declamare il poderoso ritornello, mentre la finale “Metal Hammer” si presenta come un gradito inno al metal, sulla scia dei Manowar per intenderci, ma che mantiene per fortuna quella credibilità e quella passione che qualora assenti trasformano il pezzo in una ridicola pantomima del genere. In un modo o nell’altro, però, consideriamo “We Fight” un ulteriore, importante, passo nella carriera degli Arthemis, un passo in avanti verso un album, ancora a venire, che speriamo sdogani finalmente il gruppo veneto e gli permetta il salto di qualità che oramai da tre dischi gli auspichiamo.