7.5
- Band: ARTIFICIAL BRAIN
- Durata: 00:45:23
- Disponibile dal: 03/06/2022
- Etichetta:
- Profound Lore
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Di pari passo con il monicker scelto, ‘cerebrale’ è sempre stato l’aggettivo migliore per descrivere la proposta e l’approccio degli Artificial Brain, formazione di Long Island che con questo disco omonimo – il terzo di una carriera vissuta sotto l’egida della Profound Lore – si appresta a chiudere un importante cerchio del proprio percorso caratterizzato dalla manipolazione e dall’esplorazione della materia death metal più espansiva e non lineare. L’opera segna infatti il testamento dietro al microfono di Will Smith (no, non quello dello schiaffo a Chris Rock), frontman che con il suo stile gorgogliante e alieno, evocante abduzioni, organismi cibernetici e vivisezioni compiute su asettici tavoli di laboratorio, rappresenta(va) indubbiamente uno degli elementi distintivi del gruppo americano, innamorato tanto delle avanguardie di un “Nespithe” o di un “Obscura”, quanto degli impulsi sensoriali che la vicina New York trasmette insistentemente a lui e a svariati amici/colleghi (Aeviterne, Luminous Vault, Pyrrhon, ecc.).
Un suono che soltanto di rado diventa espressione di violenza in senso stretto del termine, e che piuttosto, attraverso il suo propagarsi avvolgente e stroboscopico, in cui interferenze di vario tipo si mescolano alla suddetta base estrema, sembra volersi prefigurare come la soundtrack di una pellicola sci-fi dal taglio onirico e lisergico, la cui trama e il cui svolgimento sono davvero chiari unicamente al regista. Di sicuro, c’è qualcosa di sovrabbondante e velleitario nel modo in cui i brani degli Artificial Brain si avviluppano e si scompongono lasciando pochi punti di riferimento all’ascoltatore, ma è altresì indubbio come l’intero impianto narrativo possieda fascino e gusto in dosi abbastanza generose da stemperare l’attitudine ‘da secchioni’ dei musicisti, i quali, proprio in questi solchi, raggiungono il punto più alto della loro scrittura. La melodia, in particolare, mutuata dagli ambienti post, prog e krautrock, ha qui ampio margine di manovra, e pur evitando qualsivoglia motivo o andamento orecchiabile, infonde alla tracklist un calore e una sensibilità che il precedente “Infrared Horizon”, cinque anni fa, aveva soltanto accennato, e che l’esordio del 2014 “Labyrinth Constellation” non contemplava affatto.
Immancabili anche alcune divagazioni black metal, mentre le comparsate di Mike Browning dei Nocturnus e di Luc Lemay dei Gorguts validano ulteriormente il carattere e l’ambizione del progetto, autore di un disco che, nel caso aveste già fatto vostra l’ultima prova dei Cosmic Putrefaction, non dovrebbe faticare a garantirvi altre ore di svago e trip spaziali.