7.0
- Band: ARTIFICIAL BRAIN
- Durata: 00:45:07
- Disponibile dal: 18/02/2014
- Etichetta:
- Profound Lore
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Gli Artificial Brain sono soltanto una delle ultime scoperte di casa Profound Lore, etichetta da sempre molto attenta agli sviluppi della scena extreme metal contemporanea, giunta con “Labyrinth Constellation” all’esordio sulla lunga distanza dopo una manciata di pubblicazioni minori rilasciate in rapida successione tra il 2011 e lo scorso anno. I Nostri rientrano pienamente in quella nuova schiera di band – soprattutto nordamericane – che partendo da una solida base death metal hanno successivamente esteso i confini della propria musica, infrangendo le barriere tra generi e mescolando come se nulla fosse le severità dei primi Immolation al post-metal dei Neurosis, le allucinazioni dei Gorguts di “Obscura” all’astrattismo black metal di Blut Aus Nord e Deathspell Omega, il noise con il post-rock, in una colata di suoni densi e magmatici, contorti all’inverosimile. La prima cosa che colpisce del disco – oltre lo smisurato quoziente tecnico di cui parleremo più avanti – è senza dubbio l’atmosfera sci-fi che permea la tracklist, magistralmente sottolineata dall’artwork di Paolo Girardi (Blasphemophagher, Chaos Inception, Inquisition) e dalle melodie siderali che sovente si affacciano dal turbinio dei brani. Un accorgimento minimo, ottenuto grazie al semplice impiego di sintetizzatori, in grado però di stemperare l’approccio asfissiante del quintetto, scandito dal growling abissale del frontman Will Smith (no, non parliamo del principe di Bel-Air!), dal riffing obliquo delle chitarre e dal mostruoso lavoro della sezione ritmica, con il basso intento a cimentarsi in evoluzioni impossibili, da lasciare a bocca aperta. Un modus operandi perennemente cerebrale che a dire il vero finisce per smorzare – in minima parte, si intende – l’efficacia di alcuni episodi, troppo arzigogolati e freddi per rimanere impressi nella memoria dell’ascoltatore. Sotto questo punto di vista gli Artificial Brain hanno sicuramente da migliorare: va bene esprimere le proprie doti, ma suonare “difficili” a tutti i costi – specie in ambito death metal – può essere molto controproducente, come più volte riportato dalle nostre stesse pagine. Fortunatamente in “Labyrinth Constellation” non si ravvisano segni di onanismo strumentale vero e proprio, e questo fattore, sommato all’effettiva qualità di tracce come la titletrack, “Hormone’s Echo” e “Moon Funeral”, consente alla formazione newyorkese di venire promossa senza troppi sforzi. Se amate le sonorità “post” declinate in salsa estrema avrete di che gioire per giorni.