7.5
- Band: ARTILLERY
- Durata: 00:35:56
- Disponibile dal: 16/11/2018
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Facciamocene una ragione: i vecchi Artillery sono ormai un lontano ricordo, incastonato tra le fulgenti note del tanto celebrato (soprattutto oggi) “By Inheritance”. L’ugola di Flemmin Ronsdorf è stato quanto di più azzeccato si potesse trovare allora sul mercato vocale per accompagnare gli elaborati riff dei fratelli Stutzer, andando così a creare un’alternativa al classico e più grezzo thrash dell’epoca. Questi erano e sono stati gli Artillery. Punto e stop.
Da lì in poi, compreso l’album del ritorno “B.A.C.K.”, qualcosa è cambiato; e non in peggio, sia chiaro. E’ pur ovvio che il voler comparare ogni uscita della band danese con il gioiello espulso ad inizio anni Novanta, porta inevitabilmente a darne un giudizio non per forza negativo ma sicuramente penalizzante. Tutto questo per dire che da cinque anni a questa parte gli Artillery hanno intrapreso una nuova strada, sì differente ma a conti fatti valida. Un sound roccioso e granitico, non sempre thrash, ha preso il sopravvento sulle sonorità di un tempo, in grado, album dopo album, di valorizzare anche le capacità liriche del singer Michael Bastholm Dahl, giunto con il presente full-length alla terza prova sulla lunga distanza. E allora, dopo le prime due apparizioni, targate “Legions” e “Penalty By Perception”, tutto sommato positive, ecco qui la definitiva conferma. “The Face Of Fear” è un lavoro che merita e che mette in mostra una band in gran spolvero, a partire dallo stesso Dahl. Nove tracce ben assortite che spaziano egregiamente tra i generi: ci sono sicuramente sferzate più tirate, per qualche verso old-school, ci sono brani più heavy, ci sono pezzi power, ci sono episodi ottantiani dal forte sapore rock-pop (già, proprio così). Una sorta di greatest-hits che, ad esclusione (forse) dei fan della prima ora, accontenterà un po’ tutti proprio per le sue ampie vedute di stile.
Si parte dunque e, supportati da una produzione più che degna, abbiamo l’immediata titletrack: un’intro alla “Whiplash” ci scaraventa lungo il solco di una traccia tellurica, in cui trame maligne, vagamente made in Testament, tengono banco dal primo all’ultimo minuto. Davvero niente male come opener: compari Stutzer and company ci sanno ancora fare, eccome. Si prosegue e con “Crossroads To Conspiracy” si compie un vertiginoso coast-to-coast avvicinandosi alle ritmiche di ‘anthraxiana’ memoria, con l’aggiunta di riff ulteriormente tecnici e sopraffini. Altro pezzo da inserire tra quelli più meritevoli dell’intero lotto. Tocca quindi a “New Rage” inserire una nota alla voce classic metal: un midtempo corale e molto orecchiabile che esalta infatti le prestazioni vocali del singer danese. Una leggera pausa prima che la sezione ritmica guidata dal duo Thorslund-Madsen ritorni a schiacciare il piede sull’acceleratore: poderosa, sostenuta da riff corposi, inneggianti all’headbanging più genunino, “Sworn Utopia” si presta come uno dei brani che troverà sicuramente spazio in sede live. E’ ancora metallo, bello pesante, quello che si respira in “Through The Ages Of Atrocity”: strofe ed intermezzi tirati e scintillanti lasciano spazio ad un refrain un poco debole che fa perdere un po’ di peso all’intero brano. E dopo la solida e affascinante “Thirst For The Worst”, una delle migliori, penalizzata da un songwriting non all’altezza del reparto musicale, arriviamo alla vera sorpresa dell’album. Quella “Pain” lanciata in esclusiva dalla band come terzo estratto ad anticipare l’uscita del full-length; quella “Pain” che farà storcere il naso ai puristi del genere, in particolar modo a coloro che sono cresciuti a pane e “By Inheritance”. C’è poco da girarci intorno: “Pain” è un buonissimo pezzo hard rock che, all’interno di “The Face Of Fear”, fa la sua porca figura; ed è un brano che conferma ulteriormente le doti canore del buon Dahl. A chiudere il sipario su questo volto della paura, dopo la strumentale (francamente evitabile) “Under Water”, la schiacciasassi “Preaching To The Converted”, esempio perfetto di power-thrash che rimanda l’orecchio ai Gamma Ray di “Somewhere Out In The Space” (“Lost In The Future”?).
Dimentichiamoci quindi ciò che di eccelso hanno realizzato in passato gli Artillery e godiamoci questa nuovo volto, ormai maturo, di una band che, a differenza di altri gruppi dell’epoca, pur non ottenendo lo stesso successo, ha saputo rischiare riuscendo ogni volta a realizzare un qualcosa di significativo. Giù il cappello: l’artiglieria danese ha sfoderato l’ennesimo colpo.