9.0
- Band: AS BLOOD RUNS BLACK
- Durata: 00:37:08
- Disponibile dal: 05/06/2006
- Etichetta:
- Mediaskare
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I primi anni 2000 possono essere visti come un periodo d’oro per la nascita, lo sviluppo, e l’affermazione di nuovi sottogeneri nel metal estremo. In particolar modo, ci si può riferire al filone death-core, che durante la prima decade di questo secolo ha sfornato numerosissime band di tendenza, la cui maggioranza ha poi proseguito il suo percorso sperimentando e non restando ancorata alla produzione degli esordi. Possiamo dire che il death-core sia un genere figlio di vari trend momentanei, sviluppatosi in varie correnti (quella djent su tutte) ed evolutosi rapidissimamente, non riuscendo a cementare delle basi solide e durature per decadi. Tuttavia, gli album che hanno dato vita al filone sono giustamente considerati delle pietre miliari e tuttora, dopo quasi vent’anni, trasmettono il carattere sperimentale e l’innovazione che i loro autori hanno saputo imprimere con il loro contributo. Che ciò sia accaduto in dinamiche spontanee o meno, poco importa, quello che va ricordato è la notevole rilevanza che hanno avuto, e che ancora oggi hanno, alcuni di quegli album straordinari. Ne citiamo quattro su tutti: “The Cleansing” dei Suicide Silence, “The Ills of Modern Man” dei Despised Icon, “Count Your Blessings” dei Bring Me The Horizon e – appunto – “Allegiance” degli As Blood Runs Black.
Questi dischi, usciti nel biennio 2006/07, periodo fondamentale per la cosiddetta MySpace generation, sono essenziali per la nascita del death-core e per la sua definizione, ma a nostro avviso “Allegiance” può tranquillamente porsi uno scalino sopra gli altri, considerando diversi fattori musicali e, soprattutto, tenendo conto della travagliata storia del quintetto californiano. Negli anni precedenti l’uscita di “Allegiance”, gli As Blood Runs Black avevano già subito un radicale cambio di line-up, lasciando come unico membro originale il batterista Hector De Santiago, con l’album di debutto ancora in fase di pre-produzione. Una volta arruolati i membri mancanti, tra cui Nick Stewart al basso, la band ha finalmente rilasciato il disco nel giugno 2006, ed iniziato una serie di fortunati tour in tutto il mondo, compreso l’americano Summer Slaughter Tour in compagnia di Necrophagist, Decapitated, Cephalic Carnage e Cattle Decapitation. Purtroppo però continue battaglie legali con la Mediaskare Records ed infiniti cambi di chitarristi e cantanti hanno portato De Santiago e Stewart a sciogliere la band nell’agosto 2014. Tristi finali a parte, perchè “Allegiance” è così importante per la nascita di questo genere?
Contestualizzandolo in quegli anni e a quel genere, il full-length presenta una maturità stilistica esemplare, creando un collegamento tra death metal e metal-core, dando forma a ciò che verrà reso lo stereotipo di questo filone. Dieci brani di pura adrenalina che scorrono con lucidità, costellati di riff melodici palesemente ispirati al death metal svedese di scuola Göteborg, blast-beat infiniti, mitragliate di doppia cassa (nel vero senso della parola) ed infine – ma non per questo di minor importanza – una quantità ignorantissima di breakdown, creando così un flow continuo di groove. “Allegiance” si pone al centro tra melodia nuda e cruda e brutalità estrema. In meno di quaranta minuti, l’ascoltatore viene rimbalzato senza sosta tra accelerate vertiginose e breakdown da picconate nella schiena, proponendo inoltre dei giochi di lead guitar e scambi di urla in growl, scream e pig squeal, dirette e piene. Nella totalità della sezione ritmica, i brani sono immediati, diretti, e trasmettono una carica di positiva tensione che fa gustare il disco senza mai stancarsene. Sia chiaro, il pattern ripetuto tra blastate e breakdown è il medesimo per tutto il disco, ma è acutamente strutturato con dinamica, senza mai risultare noioso e monotono. Oltre agli aspetti che riguardano il songwriting, gran parte del pacchetto dell’efficacia risiede nella produzione e nel sound. La cura del suono di questo disco è maniacale: le chitarre suonano piene e sature, il basso tuona come delle catene che sbattono sull’acciaio e la combo cassa/rullo fa tuttora invidia a moltissime produzioni digitali e moderne. A chiudere il cerchio, ci pensano varie ‘esplosioni’ dai bassissimi hertz, posizionate allo scoppio dei vari breakdown per enfatizzare e ampliare la carica del groove, stratagemma pienamente diffuso negli anni successivi tra i vari gruppi death-core e metal-core.
La pesantezza della proposta la si intuisce dalle prime note dell’intro stumentale che apre il disco e che ci catapulta sui riff melodici di “In Dying Days”. I breakdown sono letali e rallentano il tiro sempre di più, fino a sfociare nel brano successivo: “My Fears Have Become Phobias”. Probabilmente il pezzo più valido del disco, colmo di stop’n’go e ripartenze in cui iniziano a trovare spazio gli assoli e il sound predominante di Nick Stewart. Lo shredding continua in “Hester Prynne”, incastrandosi a dovere tra le sezioni ritmiche da infarto e le martellate. Fino a questo punto, l’ascoltatore è imprigionato in un vortice che ripete gli stessi elementi e che crea un continuum di brutalità senza respiro, prima di chiudere il ‘lato A’ del disco con “Pouring Reign”, intermezzo strumentale dai fraseggi puliti e riverberati che trasmette un’anormale sensazione di pace e tranquillità. Le mazzate ovviamente riprendono immediatamente su “The Brighter Side Of Suffering” e “A Beautiful Mistake”. Con il passare dei brani si ha la sensazione di aver già sentito ciò che viene proposto, ma ciò che rende “Allegiance” un disco vincente è l’aver combinato gli stessi identici fattori con eleganza e varietà brano dopo brano, senza mai sacrificare nulla. “Strife”, “Beneath The Surface” e “Legends Never Die” portano l’ascoltatore verso l’epilogo, tra i breakdown esagerati ed il riffing dalle melodie epiche. Nonostante il fatto che, una volta arrivati alla fine del disco, i brani risultino prevedibili, la raffinata scrittura riesce ad impreziosire ogni fase dell’album, dandogli una solidità immensa, senza far mai annoiare l’ascoltatore.
A distanza di diciassette anni dalla sua pubblicazione, “Allegiance” sembra essere invecchiato davvero benissimo, e porta con sé il peso di aver aperto le porte di un genere, forse sfumato troppo presto. I suoi successori, “Instinct” del 2011 e “Ground Zero”, uscito postumo nel 2014, non hanno purtroppo mai ricevuto l’hype, l’impatto e la risposta portati dal disco d’esordio, e probabilmente gli As Blood Runs Black non hanno nemmeno mai goduto dei risultati che si sarebbero meritati. Tuttavia, dopo svariati anni di inattività, Nick ed Hector hanno rilasciato sul canale YouTube della band, durante l’estate 2021, un video che li vede in studio mentre suonano un brano inedito e strumentale, questa volta entrambi alle chitarre. Sarà interessante vedere cosa ne sarà di questa bizzarra uscita. Si tratterà di un nuovo album o solamente un piccolo tassello per omaggiare i fan? Quei ragazzini, fedeli dal 2006, e legati alla band grazie a quel capolavoro dalla copertina verde.