7.5
- Band: ASHBRINGER
- Durata: 01:09:00
- Disponibile dal: 28/06/2019
- Etichetta:
- Prosthetic Records
- Distributore: Audioglobe
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Tra i giovani gruppi nati sulla scia del fenomeno ‘cascadian’ e del successo ottenuto da Agalloch e Wolves In The Throne Room, gli Ashbringer si sono forse dimostrati i meno reticenti al cambiamento e alla volontà di trovare una loro strada. Dopo un esordio (“Vacant” del 2015) devoto in tutto e per tutto alle visioni naturalistiche dei succitati maestri, il progetto del cantante/chitarrista Nick Stanger aveva lanciato i primi, interessanti segnali di rinnovamento con il seguente “Yūgen”, imbastendo un ordito di metal atmosferico solo in parte riconducibile alla scena black nordamericana, e non sembra che oggi sia intenzionato a ritrattare o a fare dietrofront.
Al contrario, gli otto brani racchiusi in questo comeback edito da Prosthetic sottolineano con ancora maggiore insistenza la duttilità variopinta che anima l’operato del gruppo di Minneapolis, ormai lontano dai toni disperati delle sue prime composizioni e immerso in uno stato di languidezza che sembra pensato per accompagnare i crepuscoli estivi, quando le ombre si allungano, la brezza tiepida scuote le cime degli alberi e il cielo si tinge di rossastro. Un amalgama di shoegaze, post rock, metallo nero (invero mai troppo aggressivo) e folk cantautorale in cui spesso l’unico punto di contatto con il mondo estremo è rappresentato dalle voci urlate del leader, fatto confluire all’interno di suite dalla spiccata sensibilità organica e chitarristica. Ridotti gli interventi di effettistica e tastiere rispetto a tre anni fa, “Absolution” affida alle sei corde il compito di guidarci nella narrazione della tracklist e nei vari movimenti che, tra riff pastellati, ricami acustici e lead struggenti, si susseguono fluidamente in ogni brano, per un risultato finale tanto profondo quanto facilmente decifrabile.
A dispetto della durata monstre (quasi settanta minuti) e della ricchezza degli arrangiamenti, l’opera non si configura affatto come un mattone indigesto, avendo sempre l’accortezza di mettere in risalto la passionalità e la rinnovata intraprendenza melodica del quintetto, mai così ispirato come in questo momento. Episodi come l’opener/titletrack, “Wilderness Walk” e la colossale “Dreamscape”, dall’alto del loro lirismo e della loro vivace orecchiabilità, sapranno convincere anche i più scettici.