7.0
- Band: ASINHELL
- Durata: 00:39:12
- Disponibile dal: 29/09/2023
- Etichetta:
- Metal Blade Records
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Vedere Michael Poulsen dei pluriacclamati hard rocker Volbeat capeggiare una death metal band potrà magari risultare strano a qualcuno, ma le radici del musicista danese affondano proprio in questo genere. I Volbeat nascono infatti dalle ceneri dei Dominus, gruppo attivo già nel 1991, il quale, prima di intraprendere un’evoluzione che sfociò poi in lidi sonori che avevano già qualcosa in comune con il sound degli autori di “The Strength / The Sound / The Songs” o “Rock the Rebel / Metal the Devil”, era inizialmente alfiere di un possente death metal dai massicci toni groovy, non troppo lontano dalla prima proposta dei connazionali Konkhra. Date un ascolto a un album come “View to the Dim” se quel genere di sonorità vi stuzzicano!
Bisogna poi sottolineare come, una volta raggiunto il successo con i Volbeat, il cantante/chitarrista non abbia comunque mai nascosto il proprio amore per il death metal. Negli anni, ci è infatti capitato di vederlo più volte a concerti e festival di questo stampo, senza contare che qualche tempo fa il Nostro si è pure occupato di scrivere delle note per la ristampa di “Spiritual Healing” dei Death su Relapse Records.
Veniamo quindi alla creazione di questo nuovo progetto, dal buffo nome – almeno per noi italiani – Asinhell. A detta del leader del gruppo, il quale è completato dal veterano Marc Grewe (ex Morgoth) alla voce e da Morten Toft Hansen (Raunchy, ex Hatesphere) alla batteria, l’idea di tornare a suonare death metal è venuta dopo avere riesumato un vecchio pedale per chitarra Boss HM-2, principale responsabile del caratteristico suono ‘motosega’ delle band death metal svedesi di un tempo; l’altra grande ispirazione è invece stata fornita da una tragedia, ovvero la morte di LG Petrov degli Entombed, vecchio amico di Poulsen. Queste circostanze hanno portato il chitarrista a rispolverare certi vecchi classici e a imbracciare lo strumento con l’idea di confezionare un tributo alla sua adolescenza e alla memoria del suo amico. Il risultato è questo “Impii Hora”, opera che sa appunto di omaggio ai vari capisaldi del death metal dei primi anni Novanta, dai Death di album come il succitato “Spiritual Healing” o “Human” – le cui influenze sono evidenti già a partire dall’opener “Fall of the Loyal Warrior” – a soluzioni più groovy e stentoree che invece guardano a Bolt Thrower, Grave o Gorefest. Da queste basi, il trio procede mescolando le carte, optando ora per pezzi rapidi e affilati, ora per episodi in cui si punta maggiormente sulla potenza e su un incedere marziale.
Caratteristica palese del songwriting di Poulsen resta tuttavia la relativa orecchiabilità: dopo vent’anni trascorsi a scrivere singoli per i Volbeat, il musicista scandinavo evidentemente trova difficile allontanarsi troppo dalla classica forma canzone, tanto che, anche in un contesto più aggressivo, non può fare a meno di dare al tutto uno sviluppo snello e armonico, con riff che si ripetono di frequente e chorus chiamati a caratterizzare quasi ogni brano.
Alla fine dei conti, l’ascolto di “Impii Hora” si rivela divertente: si può prestare attenzione e farsi coinvolgere dal suo gioco dei rimandi, oppure – sorvolando sulla logica penuria di personalità – semplicemente apprezzare la buona vena compositiva di Poulsen, che qui dimostra di sapere ancora imbastire del death metal più che onesto. Certamente qualche ‘cacciatore di poser’ o certa ‘polizia del metal’ non vedrà di buon occhio un disco death metal composto da una sorta di rock star, ma ci teniamo a sottolineare come alcune di queste canzoni siano a tutti gli effetti sullo stesso livello di quelle che regolarmente troviamo nelle pubblicazioni di etichette underground come Memento Mori, Blood Harvest, F.D.A., Redefining Darkness, ecc. Basta chiudere gli occhi e lasciare che sia la musica a parlare.