6.0
- Band: ASTRAL DOORS
- Durata: 00:55:40
- Disponibile dal: 31/03/2017
- Etichetta:
- Metalville
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La conseguenza logica del divorzio di Nils Patrik Johansson dai Civil War non poteva che essere un nuovo disco della sua principale creatura: gli Astral Doors, che quest’anno spengono ben 14 candeline dal primo album. A tre anni dall’ottimo “Notes From The Shadows”, disco ingiustamente ignorato dai più, la band svedese torna dunque alla carica con la sua consueta formula: un heavy moderno dai toni duri e rocciosi, fatti apposta per accompagnare la graffiante voce ‘a là Dio’ di Nils. Il problema, però, è che qualcosa in questo disco non funziona… E non parliamo solamente dei pezzi in generale, ma proprio dell’aria che si respira. I capitoli veramente riusciti di questi cinquantacinque minuti sono veramente pochi e, in generale, si avverte un fortissimo senso di stanchezza: si sente che il frontman, passata la sbornia super power dei Civil War, aveva voglia di tornare a qualcosa di più genuinamente heavy. Ma senza i presupposti per poter costruire qualcosa di solido e duraturo è difficile riuscire a tirare fuori un album che suoni 100% Astral Doors. Infatti, tralasciate “God Is The Devil” e “Die On Stage”, l’album tende a perdersi via in fretta, specialmente per il fatto che non ci sono vere e proprie variazioni di ritmica, quando la band, in passato, è riuscita a viziarci con canzoni sparate a mille alternate dai classici midtempo più di stampo rainbowiano/purpleiano. Pure l’inizio, con quella “We Cry Out” che aveva fatto storcere il naso a molti fan di vecchia data, non aiuta affatto un album dove i riff, che sono sempre stati la colonna sonora portante della band svedese, si perdono sommersi da un tappetone di tastiera che paradossalmente non riesce nemmeno a prendersi il suo posto, quando in passato aveva un ruolo di tutta rilevanza. Il risultato è che dopo la quinta canzone vi sembrerà di ascoltare un loop infinito dei primi pezzi, senza troppa convinzione né particolare spinta. La titletrack “Black Eyed Children” risolleva leggermente la situazione, ma arriva troppo tardi in uno scenario desolante dove le nostre forze sono già state ampiamente esaurite. Un mezzo buco nell’acqua, insomma, per una band che in passato ci aveva regalato delle perle di non poco conto: qualche maligno dirà sicuramente che è l’effetto dell’aver lasciato i Civil War, con cui invece il nostro Nils spaccava. Non ci è dato sapere il perché di questo ‘downgrade’, ma possiamo concludere dicendo che speriamo una band di questo calibro possa riprendersi e non cominci un andazzo statico verso un songwriting di medio livello, possibilmente ridando spazio per assoli e quant’altro a quel poveretto di Jocke Roberg (tastiera), qui ingiustamente sommerso come scritto poco sopra.