8.0
- Band: AT THE GATES
- Durata: 00:45:37
- Disponibile dal: 02/07/2021
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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Ventisei anni. Tanto è occorso agli At the Gates per metabolizzare l’exploit irripetibile di “Slaughter of the Soul” (il quale non a caso portò la band a frantumarsi all’apice del successo e della crescita artistica) e uscire dal cono d’ombra proiettato dalla suddetta pietra miliare. Nel mezzo, due reunion (la prima nel 2007, la seconda nel 2010), un quantitativo impressionante di gruppi nati sulla scia di quelle composizioni e un paio di dischi, “At War with Reality” e “To Drink from the Night Itself”, indubbiamente solidi e riusciti, ma anche piuttosto pavidi dal punto di vista stilistico. C’è quindi voluto del tempo per far sì che Tomas Lindberg e compagni si affrancassero dalle ancore della mitologia da loro stessi creata, ma alla fine, in un impeto di coraggio e freschezza che probabilmente alienerà tutti coloro che ne ignorano il background, avendo come solo e unico termine di paragone il capolavoro del ’95, ecco vederli estrarre dal cilindro un’opera che non intende affatto imboccare la strada facile del fan service.
Un disco che abbiamo già avuto modo analizzare nel track-by-track di qualche settimana fa e che vede il quintetto svedese – ormai stabilmente compattatosi intorno alla coppia creativa formata dal cantante e dal bassista Jonas Björler – mettere a frutto il proprio bagaglio di influenze in una tracklist che non si limita a seguire arcinoti schemi melodic death/thrash, cercando invece di ricongiungersi allo spirito di perle underground come “The Red in the Sky Is Ours” e “With Fear I Kiss the Burning Darkness” in un libero vagabondaggio fra extreme metal, prog rock e punteggiature orchestrali. Spontaneità è il primo termine utile a descrivere l’approccio del songwriting, con brani che sembrano effettivamente essere stati concepiti senza troppi calcoli o sudditanze psicologiche verso l’appeal bombastico di alcuni famigerati cavalli di battaglia; canzoni che, lungi ovviamente dall’avvicinarsi ai parossismi e alle esuberanze di inizio carriera, ci mostrano degli At the Gates intenti a dosare pieni e vuoti, parentesi squisitamente ‘dritte’ e altre più tortuose, sul filo di una contaminazione vintage mai fine a se stessa, la quale ha spesso modo di esprimersi in minisuite dall’andamento morbido e crepuscolare (“Garden of Cyrus”, “The Fall into Time”, “Cosmic Pessimism”).
Un flusso cremisi in cui il Gothenburg sound dei Nostri si incontra/scontra con marcati elementi Seventies e con interventi di archi, strumenti a fiato e pianoforte mai banali, dosati con estrema parsimonia onde evitare barocchismi superflui e parentesi kitsch inopportune, incalzato da un dialogo vivacissimo fra chitarre e sezione ritmica che arriva persino a scomodare entità ibride come Morbus Chron/Sweven e Agrimonia (altra band del chitarrista Martin Larsson). Alla luce di quanto detto, senza peraltro volersi soffermare sulla solita, maniacale produzione a cura di Jens Bogren (Amorphis, Bloodbath, Katatonia), è facile vedere in “The Nightmare of Being” il miglior disco degli At the Gates post-reunion, oltre che una raccolta splendidamente coerente e passionale il cui più grande pregio è forse quello di non smettere di crescere con gli ascolti. E scusate se è poco.