7.5
- Band: AT THE GATES
- Durata: 00:44:48
- Disponibile dal: 18/05/2018
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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Ci si ritrova a scrivere, dopo circa un mesetto dal nostro track-by-track dedicato, riguardo l’ormai prossimo alla pubblicazione “To Drink From The Night Itself”, sesto full degli At The Gates, partorito a poco meno di quattro anni di distanza dal suo predecessore, il discusso, ma comunque valido, “At War With Reality”. Ebbene, il nostro giudizio non può che ricalcare quello espresso, in toni sommari, durante il track-by-track e convergere con quanto scritto in sede di recensione dell’appena citato “AWWR”: i Nostri hanno il death metal (melodico) nel DNA e ne sono stati fra i fondatori, innegabile il loro impatto, prima rivoluzionario ed innovativo in “The Red In The Sky Is Ours” e “With Fear I Kiss The Burning Darkness”, poi esplosivo ed annichilente nei seguenti “Terminal Spirit Disease” e “Slaughter Of The Soul”, su tutta la scena estrema; ma lo split, i The Haunted e i tanti gruppi in cui i membri storici della band, soprattutto ‘Tompa’ e Adrian Erlandsson, hanno militato e con cui hanno collaborato sembra abbiano in qualche modo placato e ‘ammorbidito’ la sete di violenza e parossismo che ha albergato negli At The Gates nei primi anni della loro esistenza. O forse, molto più semplicemente, loro sono cresciuti e maturati, noi pure e i tempi sono decisamente cambiati. Con tale affermazione non vogliamo intendere che “To Drink From The Night Itself” sia un disco morbido o ‘soft’, assolutamente no; ma, come nel caso di “At War With Reality”, si permea di un alone di formalità che lo fa risultare parecchio ‘controllato’, con la dose di rabbia da sfogare – sarà anche la produzione? Noi crediamo di no – mitigata e appassita. Jonas Bjorler e Tomas Lindberg, tutto sommato, compongono musica, più o meno dello stesso tipo, da quasi trent’anni, è chiaro che non si può pretendere nulla di più da loro, ora, di un ennesimo disco valido degli At The Gates. E questo è “To Drink From The Night Itself”, un lavoro sopra la media del genere ma che non stupisce e che stimola realmente il ‘fomento’ in pochi e contatissimi momenti posti qua e là durante la tracklist. Non sappiamo neanche dirvi se questo album sia migliore o peggiore di “At War With Reality”: certamente la sensazione generale di ‘bello ma non bellissimo’ è esattamente la stessa, come si può affermare con una discreta dose di certezza che in “To Drink From…” gli At The Gates richiamano un po’ più spesso e in vari modi il loro antico passato: la cover tutta tinta di rosso, colore che viene spesso usato anche nei testi della band, così come nel debutto “The Red In The Sky…”; diversi passaggi lirici e versi che autocitano le stesse opere degli scandinavi (il titolo “Seas Of Starvation” è un verso di “Kingdom Gone”; in “A Stare Bound In Stone” si parla di un “Ever-Opening Flower”); e anche, in modo sottile e sporadico, qualche soluzione compositiva più complessa e arzigogolata, atta a rimembrare le volute progressive delle costruzioni strumentali del vecchio membro Alf Svensson. Ma ciò non basta, e nè lo si voleva dopotutto, a far riemergere dalla polvere del tempo il mood primevo ed ancestrale dei vecchi At The Gates. Che oggi, specifichiamolo prima che pensiate male, sono a tutti gli effetti una formazione in grado di dare la paga alla maggior parte dei loro epigoni creatisi nel tempo e che riesce ad essere riconoscibile al 100% fra diecimila band proponenti lo stesso sound: sarà la timbrica corrosa e rauca della voce di ‘Tompa’, saranno i loro classici giri melodici a cavallo tra black e death metal, fatto sta che, durante l’ascolto del disco, l’impressione è esattamente la stessa che si ha quando si rivede un amico d’infanzia dopo vent’anni: è lui, non è cambiato troppo, ma è diverso. In tutto ciò, il desaparecido Anders Bjorler risulta non pervenuto senza colpo ferire: amaro scriverlo, ma la sua assenza in sede di songwriting non si sente per niente, in quanto il fratello Jonas ha saputo sopperire alla grande, lavorando alacremente con ‘Tompa’ per dare un tono vivo e dinamico alle composizioni ivi presenti. I brani migliori? Dopo una davvero ampia gamma di ascolti, possiamo indicarvi senza timore alcuno il nostro personale podio: “Daggers Of Black Haze” al comando, seguita poi da “To Drink From The Night Itself” (che ai primi ascolti ci aveva pure fatto pensare male, guardate un po’!) e da “Seas Of Starvation”; poi “The Colours Of The Beast” e “A Labyrinth Of Tombs”. Cos’altro da dire su quello che è e rimarrà uno dei dischi più chiacchierati del 2018? Poco, in effetti. Andate ed ascoltatelo senza aspettarvi chissacosa, è l’approccio migliore. Go!