7.0
- Band: ATLANTEAN KODEX
- Durata: 00:57:57
- Disponibile dal: 04/10/2013
- Etichetta:
- Cruz Del Sur Music
- Distributore: Audioglobe
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Additati da più parti come i salvatori della patria in ambito epic power metal, i tedeschi Atlantean Kodex arrivano con questo “The White Goddess” al secondo album, a tre anni di distanza dall’esordio “The Golden Bough” e sempre patrocinati dall’ottima label capitolina Cruz Del Sur. Il nuovo lavoro si muove sulle stesse coordinate del debut, salvo forse una accresciuta vena classic power che però non è mai così invadente da diventare preponderante. I riferimenti sono quelli di sempre, ovvero Warlord, Doomsword, Manowar di “Into Glory Ride”, Magnum e pure un pizzico dei Gamma Ray più epici (era “Land Of The Free”). Continuiamo a non vedere tutta questa somiglianza con i Bathory da più parti ostentata, dato che la band che fu di Quorthon si muoveva su coordinate decisamente più estreme, ruvide e guerresche. Certo, giocoforza qualche atmosfera in comune i due ensemble ce l’hanno, ma non in dosi tali da giustificare il paragone. “The White Goddess” consta di otto tracce, tra cui tre intermezzi trascurabili: i rimanenti cinque brani passano dalla relativa facilità di “Sol Invictus” alla cupezza di “Enthroned In Clouds And Fire”. In mezzo troviamo tutta la potenza evocativa di “Heresiarch”, che diventerà senz’altro cavallo di battaglia dei tedeschi in sede live, sebbene alla lunga denoti una certa pesantezza e derivatività che, unite ad una durata non indifferente e ad un songwriting molto ripetitivo, contribuiscono a non far decollare completamente il brano. “Twelve Stars And An Azure Gown” esplora il lato più melodico e leggero del sound dei Nostri, andando a parare su territori affini ai Magnum, opportunamente metallizzati. Finale affidato a “White Goddess Unveiled”, dove viene a galla tutto l’amore dei bavaresi per il power della loro madre terra, rivisto in un ottica comunque epicheggiante. Il brano alterna ottimi passaggi ad altri troppo faciloni e ruffiani. Le performance individuali sono più che buone, soprattutto quella del singer Markus Becker, dotato di un’ugola non potente ma pulita ed evocativa. In definitiva ci pare di poter consigliare l’album a tutti i defender, ai quali piacerà senza se e senza ma. Rimane il fatto che “The White Goddess” non risulta efficace come il suo predecessore: un paio di episodi (su cinque effettivi) stancano e denotano una certa pigrizia compositiva. Nonostante ciò, la qualità rimane molta e ci aspettiamo comunque che gli Atlantean Kodex riescano ad imporsi all’interno di una scena che ha bisogno come il pane di lavori di altissima qualità per dare segni di vita tangibili e concreti.