7.0
- Band: ATLAS PAIN
- Durata: 00:51:46
- Disponibile dal: 10/03/2017
- Etichetta:
- Scarlet Records
- Distributore: Audioglobe
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Gli Atlas Pain avevano presentato circa un paio di anni fa un EP, mentre adesso giungono alla pubblicazione del loro album d’esordio, intitolato “What The Oak Left”. Lo stile proposto dalla band milanese combina diversi generi, in quanto mescola melodic death e folk metal con elementi epico-sinfonici, che talvolta rivelano un approccio che definiscono ‘cinematic’, un termine da qualche tempo alquanto di moda, per indicare un tipo di musica che può essere a seconda dei casi solenne o atmosferica, ma che in ogni caso potrebbe far pensare a qualcosa di simile ad una colonna sonora di un film. La tracklist riesce ad essere dunque piuttosto variegata, alternando pezzi aggressivi con passaggi più melodici o altri dalla ritmica particolarmente veloce, così come non mancano inserti di tastiera di un certo effetto o dal sapore epico; per alcune tracce, poi, è quasi impossibile non farsi coinvolgere dal ritmo trascinante, al punto da risultare quasi (se ci passate il termine) ‘ballabili’, come sembra evocare ad esempio già il titolo di “The Counter Dance”. Gli Atlas Pain sono bravi anche nel proporre refrain alquanto catchy, quali possono essere, a titolo esemplificativo, quelli di “To The Moon” o “The Storm”, ma ci piace menzionare altresì la magniloquente “From The Lighthouse”, dove è presente, come per le altre tracce, il cantato estremo, ma dove le melodie sono in questo caso affidate a dei cori che cantano in chiaro. Diciamo che proprio fino alla traccia ora citata, gli Atlas Pain fanno ascoltare un disco gradevole, dove provano a proporre uno stile personale, per quanto non ci sia obiettivamente nulla di particolarmente innovativo nè di sensazionale: un album cioè senz’altro valido, specialmente se si considera che si tratta del loro primo full-length, ma comunque abbastanza nella media. L’ultima traccia si rivela però in verità piuttosto spiazzante: “White Overcast Line” è infatti una strumentale di quasi dodici minuti di durata, che comincia con un riff molto alla Van Halen e che enfatizza parecchio quel lato appunto folk cinematografico presente nella musica degli Atlas Pain, quasi come se in tale moniker si sforzassero di far convivere due progetti musicali vicini ma di fatto diversi e che in realtà meriterebbero sviluppi differenti. Siamo dunque curiosi di scoprire quale sarà la direzione che la band prenderà in futuro. Per adesso, “What The Oak Left” rappresenta un buon esordio e un buon punto di partenza.