7.5
- Band: ATREYU
- Durata: 00:48:24
- Disponibile dal: 23/10/2009
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Warner Bros
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La domanda sorge spontanea: si può vivere di rendita grazie al successo di un solo disco? La risposta, altrettanto spontanea, non può che essere negativa, nemmeno se il disco in questione porta il nome di “The Curse”, capolavoro finora ineguagliato nel suo genere. Ed è così che, dopo aver perdonato loro il mezzo passo falso di “A Death-Grip On Yesterday” – liquidato come un frettoloso tentativo di liberarsi dal contratto con la Victory – e l’ancor più deludente “Lead Sails and a Paper Anchor” – un mal riuscito tentativo di sganciarsi dal carrozzone core per prendere una strada più mainstream – eravamo stavolta pronti a spedire gli Atreyu all’Inferno dell’oblio, per nulla persuasi dai trionfalistici proclami della vigilia che volevano i nostri impegnati in un ritorno al sound delle origini. E invece – sorpresa! – basta inserire il CD nel lettore ed acoltare il riff di apertura di “Stop! Before It’s Too Late and We’ve Destroyed It All” per rendersi conto di come il quintetto di Orange County sia stavolta riuscito a coniugare l’aggressività degli esordi con la vena più melodica degli ultimi lavori, sfornando un album finalmente all’altezza della loro fama. Certo, nel caso specifico la somiglianza con gli Avenged Sevenfold potrebbe apparire quanto meno sospetta – sentite il singer Alex Varkatzas come scimmiotta Mr. Shadows – ma le successive “Bleeding Is a Luxury” e “Congregation of the Damned” sono indicative del ritrovato stato di forma della coppia d’ascie Dan Jacobs/Travis Miguel e del ruolo nuovamente centrale assunto dal già citato singer. Non manca qualche passaggio a vuoto (“Black Days Begin”, “You Were King Now You’re Unconscious”), ma per il resto la tracklist appare solidissima, in grado di soddisfare sia i nostalgici degli Atreyu che furono – quelli seduti dalla parte giusta del letto e dal mascara colante, il cui spirito riaffiora in canzoni come “Gallows” e “Ravenous” – che chi di loro ha sempre apprezzato la vena più hard-rock, qui ottimamente rappresentata dall’anthemica “Insatiable”. E se perfino l’immancabile ballad finale, la zuccherosa “Wait for You”, riesce, trasposta in un’immaginaria sede live, a far prevalere l’istinto di ondeggiare l’accendino piuttosto che tirarlo sul palco, significa che stavolta il bersaglio è stato colpito e affondato. Onore dunque agli Atreyu per essersi risollevati, mentre il posto d’onore nella cerchia dei dannati spetta stavolta allo scribacchino di turno.