7.5
- Band: ATREYU
- Durata: 00:44:19
- Disponibile dal: 12/10/2018
- Etichetta:
- Spinefarm
- Distributore: Universal
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Gli Atreyu sono cresciuti e questo, piaccia o no, è un processo irreversibile. I pionieri del fashion metalcore made in California, dopo una pausa durata poco più di un lustro, interrotta dal discreto comeback “Long Live” del 2015 sotto Spinefarm, hanno dimostrato di avere ancora molto da dire a critica e pubblico, e da quel momento i Nostri hanno deciso di continuare provando a rinfrescare il proprio sound. E questo ultimo arrivato “In Our Wake”, a tre anni di distanza, porta decisamente una ventata d’aria fresca in seno alla band di O.C., e si mette in fila per la palma di album più valido dai tempi degli sperimentalismi hair metal di “Lead Sails And Paper Anchors”. Ma procediamo con ordine, prima che i più oltranzisti gridino allo scandalo. I Nostri si sono probabilmente resi conto che alla loro età il metalcore a tutta birra non viene più naturale come un tempo, di conseguenza hanno deciso di puntare su delle strutture più leggere e organiche, dal fortissimo appeal radiofonico per sfruttare al meglio l’inconfondibile timbro del batterista e fondatore Brandon Sallers, il quale ruba le scene di continuo in questo settimo capitolo discografico del combo della West Coast, e di conseguenza il risultato finale potrebbe indubitabilmente venire bollato come ancora più ‘commerciale’, anche se, diciamocelo, gli Atreyu non sono mai stati i Carcass. Ogni pezzo su questo “In Our Wake” segue la formula ormai ben rodata di tutti i classici della band: ritmiche grintose, riff cool quanto basta, e tanta, tanta melodia, declinata nella forma dei ritornelli al super attack che in questo caso risultano efficaci come non mai. Dalla prima traccia e singolo “In Our Wake”, pezzo anthemico dal sapore emo, “House Of Gold”, midtempo interessante dall’incedere cadenzato e ipnotico, “The Time Is Now”, che porta alla mente i migliori Fall Out Boy dopo un’iniezione di steroidi, mentre con “Nothing Will Ever Change”, un altro pezzo irresistibile, si comincia a pestare più sull’acceleratore, architettando un sound molto simile all’imbastardimento sleaze di “Lead Sails…”. Si continua con “Blind Deaf & Dumb”, trascinata da gang vocals e un incalzare simil-rappato in screaming da parte di Varkatzas che fa storcere un po’ il naso sulle prime, ma che obiettivamente funziona, e se con “Terrified” incontriamo la prima ballad del lotto, canonica e abbastanza prevedibile nel suo sviluppo, è con “Safety Pin” che la band si rimette in carreggiata con probabilmente il chorus più ficcante dai tempi di “Right Side Of The Bed”, coadiuvata oltretutto da un solo decisamente sentito ed emozionale. “Into The Open”, “Paper Castle” e “No Control” continuano sulla falsariga del metal mascellone da classifica, non memorabili ma sicuramente piacenti, come una modella sulla copertina di “Sports Illustrated”, mentre le conclusive “Anger Left Behind” e “Super Hero” aggiungono in qualità, la prima con una signora commistione di groove e melodia, la seconda con una ballata strappamutande a tre voci della core-generation che fu, con i featuring di Aaron Gillespie degli Underoath e M. Shadows degli Avenged Sevenfold, resa interessante da degli inserti di fiati, se si è fan del gusto ‘cheesy’.
Ottima prova questa degli Atreyu, che potrà far storcere il naso ai fan della prima ondata, ma che rispecchia il percorso evolutivo della band californiana al meglio, culminato oggi con questo settimo tassello della loro carriera. I Nostri non hanno sicuramente inventato il metalcore, come dalla recente sparata del frontman Varkatzas, ma è innegabile che manterranno un posto in alto tra i numi tutelari della scena ancora a lungo.