6.0
- Band: ATREYU
- Durata: 00:51:20
- Disponibile dal: 08/12/2023
- Etichetta:
- Spinefarm
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In un mercato musicale come quello odierno, dove lo streaming ha ormai rimpiazzato il supporto fisico e l’hype per una nuova uscita dura un battito di ciglia, non stupisce che le band sperimentino nuove forme per soggiogare l’algoritmo e conquistare un posto al sole nelle playlist; tra queste, il formato dell’EP può tornare utile per restare rilevanti in assenza di un full-length o, come nel caso degli Atreyu, per dilazionare quello che sarebbe stato un album normale in tre finestre temporali. Per quella fetta di pubblico ancora interessata al formato fisico, vede ora la luce “The Beautiful Dark Of Life”, raccolta dei tre EP finora pubblicati (“The Hope of a Spark”, “The Moment You Find Your Flame” e “A Torch In the Dark”) con l’aggiunta di tre brani inediti, a completare un’opera pantagruelica (siamo vicini all’ora di durata) e forse eccessivamente ambiziosa per gli Atreyu degli anni Venti, orfani dl Alex Varkatzas dietro al microfono e lontani dai fasti di “The Curse” e “Lead Sails Paper Anchor”.
Se pur ormai relegati ad un ruolo di secondo piano, trovandosi spesso ad aprire per gruppi più giovani di loro, nella loro seconda incarnazione i cinque californiani non hanno perso la loro simpatia e il gusto per i ritornelli vincenti, che anche in questa raccolta non mancano: l’opener “Drowning” è una bella scossa d’energia, così come “Insomnia” e “Immortal” riescono a tenere il passo dell’alternative metal più mainstream sfruttando appieno l’estensione vocale di Brandon Sellar; pollice alzato anche per le orchestrazioni teatrali di “Forevermore” e il duetto con Sierra Deaton (vincitrice di X Factor US) in “Death Or Glory”, così come ascoltando “Gone” sembra quasi di tornare indietro fino ai tempi di “A Death-Grip On Yesterday”.
Purtroppo però il resto della tracklist non è allo stesso livello: non avranno inventato loro il metalcore ma sono stati comunque tra i primi a mischiarlo con l’hair metal, quindi vederli scimmiottare le sonorità iper-compresse in voga oggigiorno come dei Pop Evil qualunque (“Capital F”, “Watch Me Burn”) o suonare come la versione di Wish degli Asking Alexandra (“Dancing With My Demons”) mette un po’ di tristezza, con l’aggravante dell’effetto mischione frutto dell’assemblaggio che prevede l’inserimento qua e là anche di breakdown fuori tempo massimo.
Con una scaletta più asciutta staremmo verosimilmente parlando di un buon lavoro di modern hard rock sulla scia dell’ultimo “Baptize”, viceversa il nono album dei cinque californiani mescola stavolta luci e ombre come forse mai era successo loro in carriera.