5.5
- Band: ATTILA
- Durata: 00:37:36
- Disponibile dal: 25/06/2013
- Etichetta:
- Artery Recordings
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Questi ragazzi dal nome quanto mai altisonante sono attivi sulla scena alternative di Atlanta dal 2005. Dopo aver dato alle stampe il valido “Rage” nel 2010, il fortunatissimo ma ripetitivo “Outlawed” nel 2011, ed aver girato gli Stati Uniti in lungo e in largo con nomi del calibro di Asking Alexandria, Memphis May Fire, Suicide Silence ed As I Lay Dying, i Nostri tornano alla carica con questo “About That Life”, loro quinta fatica in studio, pubblicato sotto l’egida della Artery Recordings. Gli Attila dichiarano di suonare un certo “Party Metal”, un’etichetta questa, a parere di scrive, particolarmente calzante. I Nostri propongono infatti un deathcore estremamente groovy, molto di moda in questi ultimi anni, portato alla ribalta grazie a band quali Upon A Burning Body o Chelsea Grin, infarcito di breakdown spezza-cervicali, accordature ribassate e contaminazioni rapcore. I testi, poi, sono un qualcosa di osceno: una sorta di inno alla vita gangsta fatta di sbronze, fumate pesanti e sessismo un tanto al chilo. Ma nello spirito del full length, in qualche modo, non stonano nemmeno così tanto. Per dare un’idea di ciò di cui stiamo parlando (tralasciando titoli dei pezzi come “Middle Fingers Up” o” Break Shit”, per dirne giusto un paio), basta citare l’incipit della title track: “I’m a bad motherfucker not a fucking role model. Fuck church, hit a bong, then go smash a fucking bottle. Got a few sluts to help me roll a few blunts and they never question me cause they know I hate cunts”. Delicatissimo! In questo mare di colli tatuati e lobi dilatati è molto facile dare quella sensazione di “già sentito” e gli Attila, per lo meno dal punto di vista squisitamente musicale, non sono immuni da tali critiche. Il loro lavoro, tra grezzissimi midtempo figli dei Lamb of God meno ispirati, “rappate” d’intramezzo dal sapore nu-metal e growl gutturali molto spesso messi lì a casaccio a coprire qualche breakdown, tutto sommato non ci ha convinto. Alla fine della fiera, tutto sa di prodotto confezionato a tavolino, artificiosamente cattivo e incazzato per suscitare appeal su quella fetta di pubblico che fa sempre più gola alle case discografiche underground (giovani imberbi dal ciuffo piastrato e dal tattoo facile, al primo approccio con un certo tipo di musica “estrema”). Ed è proprio questa artificiosità che fa storcere il naso. Quando gli Attila, per l’appunto, abbandonano i clichè da “Bad Madafucka” e si cimentano in qualcosa di più serio e meno forzato (vedi “Party With The Devil”), le cose cambiano completamente. Il riffing delle chitarre ha un gran bel tiro, il cantato spinge come non mai e la canzone in sé, finalmente, ha una struttura efficace. In parole povere, funziona! Insomma, questi ragazzi di Atlanta hanno delle qualità e ce lo hanno dimostrato nel corso della loro carriera, dato che di questi tempi arrivare al quinto full length è quasi un miracolo per le band usa e getta. Se si concentrassero di più sul fattore musica e meno sul fattore “attitude”, riuscirebbero a fare il salto di qualità, con ogni probabilità. Per ora, ci sentiamo di rimandarli a settembre, visto anche il periodo dell’anno particolarmente calzante.