8.0
- Band: ATTILA
- Durata: 00:37:10
- Disponibile dal: 24/11/2014
- Etichetta:
- Artery Recordings
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Ok, cominciamo questa recensione facendo un doveroso passo indietro nei confronti di quel “About That Life” da noi liquidato tanto frettolosamente poco meno di due anni or sono: abbiamo preso una cantonata, dobbiamo ammetterlo. Oggi, infatti, a dispetto del tempo trascorso, quell’album gira ancora stabile nel nostro lettore cd e non ha perso un grammo della freschezza e dell’ignoranza originaria. Dopo esserci doverosamente cosparsi il capo di cenere, torniamo a noi e a questo nuovo capitolo della discografia del combo di Atlanta, che risponde al nome di “Guilty Pleasure”. Gli Attila sono sempre stati una band difficilmente catalogabile al’interno della -core scene, grazie a quella loro spassosissima mescolanza di trame deathcore, groove a mai finire e intramezzi rap-core onnipresenti, e questo ultimo capitolo si mantiene fedele alla tradizione, aggiungendo semmai un pizzico di varietà alla proposta che lo rende ancora più irresistibile. Le tematiche sono sempre caratterizzate da un livello estremo di volgarità, misoginia, tamarrate da gangsta, sesso droga e rock ‘n roll et similia, ma in fin dei conti nessuno si approccia agli Attila cercando di trovare i nuovi poeti del ventunesimo secolo. L’opener “Pizza, Sex & Trolls”, poco più di un intro nel suo minutaggio, ci trascina letteralmente per i capelli dentro questo nuovo atto della furia di Chris Fronzack. La guerra personale di “Fronzilla” contro gli haters e i cosiddetti benpensanti continua con la successiva “Hate Me”, pezzo ipnotico e violentissimo che farà saltare di gioia i fan della band. Continuiamo con “Rebel”, probabilmente il pezzo più esaltante del lotto, con quel suo ritornello sguaiato, una struttura ritmica mostruosa ed un solo finale letteralmente scippato alla Bay Area anni ’80. Con la title track raggiungiamo l’apoteosi del rap-core ignorante, mentre con “I’ve Got Your Back” non riusciamo letteralmente a tenere il corpo fermo, venendo investiti da un tornado di groove che non fa prigionieri. L’anthemica “Proving Grounds” ci spinge al sing along, possibilmente saltando abbracciati ai nostri amici rovesciandoci birra addosso vicendevolmente in preda all’ebbrezza, con una cospicua dose degli ormai immancabili “Suck My Fuck!” a marchio Fronzilla. Le successive “Break My Addiction” e “Horsepig” mettono come sempre a dura prova le nostre cervicali, mentra la seguente “Dirty Dirty”, come il nome suggerisce, si rivela un altro pezzone gratuitamente volgare,spassosissimo e ad alto tasso alcolico. Non appena pensiamo che il giro sia finito, ecco che veniamo nuovamente scaraventati di peso sulla giostra con le finali “Fake Friends” e “The Cure”, un puro concentrato di rap-core di inarrivabile tamarraggine, che ci mostrano un Fronzilla incontenibile e “on fire” fino all’ultimo. In soldoni, questo “Guilty Pleasure” non regala mai un attimo di noia, e risulta ancora più ficcante e completo del precedente “About That Life”. Gli Attila sono riusciti nella titanica impresa di rendere ancora fresco un genere che si pensava avesse già detto tutto quello che aveva da dire, rinnovandosi album dopo album senza perdere mai quella loro natura cafona e “in your face” che li ha portati dove sono adesso. Indi per cui, stappate le vostre birre, date fuoco ai vostri bong e preparatevi a fare festa come se non ci fosse un domani. Attila: non chiamateli Deathcore.