6.0
- Band: AURA
- Durata: 00:49:33
- Disponibile dal: 30/09/2022
- Etichetta:
- My Kingdom Music
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Sulle nostre pagine abbiamo seguito la storia discografica degli Aura fin dagli esordi e, bisogna dirlo, non sempre sperticandoci in lodi. Se i primi album, però, non ci avevano convinto, le cose sono improvvisamente cambiate con il terzo full-length della band salernitana: “Noise”, infatti, pur mantenendo intatte molte delle influenze già viste in precedenza, trovava finalmente un giusto equilibrio tra le fascinazioni vintage di Genesis e Marillion, e la spinta prog metal più classica di scuola Dream Theater. Oggi gli Aura tornano con un quarto album in studio, ma questa volta ci troviamo davanti ad una band cambiata, che ha assorbito nuove influenze e sonorità. Dove in passato si parlava di Dream Theater o Fates Warning, oggi troviamo nomi come Leprous e Porcupine Tree. “Underwater”, dunque, vede gli Aura cimentarsi in un progressive metal liquido, smussato, che si culla nella malinconia e trova il suo istinto progressive più nella stratificazione dei generi che nella ricerca intellettuale di incastri strumentali arditi. Le melodie della band sono lineari, riflessive, poco inclini all’aggressività, anche quando provano a spingere sull’acceleratore. Una direzione artistica chiara, che però deve essere supportata da una qualità compositiva di alto livello e su questo purtroppo ci troviamo in difficoltà: “Underwater” scorre, minuto dopo minuto, canzone dopo canzone, e ci accorgiamo di come l’atmosfera dell’album rimanga sempre immutata, priva di quei picchi emotivi che, invece, dovrebbero caratterizzare una proposta di questo tipo. Sospeso in un limbo, l’album rischia di non riuscire a centrare davvero l’obiettivo, pur senza soffrire di difetti imperdonabili: troppo blando per il pubblico del progressive metal, troppo freddo per chi volesse davvero flagellarsi tra note dolenti, fatichiamo a trovare un segmento di pubblico a cui consigliare a cuor leggero questo lavoro. Anche il consueto esercizio di provare a suggerire al letture qualche brano particolarmente rappresentativo, ci trova in difficoltà, vista l’omogeneità dell’intero disco, per cui ci limitiamo a rimandarvi ai due singoli scelti dalla band stessa (“Promises” e “Lost Over Time”) e a segnalare la presenza di una cover di “Astronomy Domine” dei Pink Floyd, riproposta in maniera del tutto sovrapponibile all’originale. Insomma, pur con venticinque anni di carriera alle spalle, gli Aura non sembrano ancora pronti a spiccare il volo, sempre alla ricerca di una propria identità artistica che si affianchi all’indubbia professionalità e competenza dei singoli musicisti.